Aneddoti e tradizioni: disgrazie e antidoti

Nella tradizione romagnola le disgrazie erano annunciate da segni ben codificati e riconoscibili immediatamente da tutti. Senza timore di smentita la disgrazia era annunciata principalmente dal “batter dell’occhio” e dal “fischiar dell’orecchio”. Ma è anche vero che col fischiar dell’orecchio sinistro, si annunciava una qualunque semplice maldicenza. È inutile però ricordare che molto spesso dalla maldicenza si origina la disgrazia.

Quale fosse l’occhio indicatore della malasorte, lo si evince dal detto “Occhio destro, cuore afflitto”; e l’orecchio indicatore di vera malasorte seguiva la stessa regola.

Altro segno anticipatore era un malessere generale al quale la persona non sapeva reagire: “A j ò un quel atorna; u’m capita quelch azident! / mi sento qualcosa addosso; mi capiterà certamente qualche accidente!”; questo era un segno molto temuto.

La disgrazia era preannunciata dalla rottura di uno specchio e dall’olio versato; in questo caso, poi, l’accaduto era ancora più grave per l’inesistenza di scongiuri atti a neutralizzare tali influssi negativi.

Valeva disgrazia se, a sera o a notte, un cane abbaiava come un lupo, e la disgrazia era diretta precisamente alla casa cui il cane apparteneva.

Annunciatori di disgrazie erano: la gallina che cantava a gallo, e il cavallo che, impaziente, con gli zoccoli raspava la terra. Nella tradizione la gallina sentiva gli intrighi diabolici presenti sulla casa, mentre il cavallo anticipava la morte imminente di qualcuno della casa a cui iniziava a scavare la fossa. Così, chi cadesse in chiesa, nella tradizione, sarebbe caduto nella fossa. Si credeva inoltre portatore di sventure il canto della civetta tanto che: “Se canta una civetta vicino a casa vostra, tenete per infallibile che i preti canteranno presto le esequie sopra uno dei vostri cari”.

Per ultimo, ricordiamo il segno più pauroso, quello della disgrazia più grave. La morte appunto, aveva un segno particolarissimo. Si faceva annunciare da San Pasquale tre giorni prima dell’arrivo. San Pasquale bussava con le nocche contro l’uscio, su un mobile o in capo al letto: tre colpi netti, distintissimi, sensibili non solo all’ammalato, ma spesso anche a chi l’assisteva.

Fin qui le disgrazie, ora vediamo qualche antidoto. Se il problema era grave si commissionava una Messa in onore della Santissima Trinità che doveva essere celebrata da un sacerdote di 31 anni, in memoria d’uno e del tre che si trova in quel gran mistero.

Per garantirsi una gravidanza senza problemi era conveniente farsi benedire il sabato santo, oppure in altro tempo, da un sacerdote che non fosse a digiuno, e per un parto felice era necessario ascoltare una Messa sempre in piedi.

Per essere sicuri di non cadere vittima di qualche fucilata, conveniva nell’alzarsi dal letto nominare per tre volte consecutive i nomi dei Santi Evangelisti.

Per far cessare il mal di testa era necessario recitare 11 “Pater, Ave, Gloria” toccandosi 11 volte la testa all’alba con la faccia rivolta a oriente. La recita, invece, di 17 “Pater” nel momento in cui spuntava il sole, era prescritta per richiedere la pioggia quando si voleva.

Quando si rovesciava il sale in tavola, si credeva di neutralizzare una gran disgrazia versando subito dopo del vino. Da evitare assolutamente, trovarsi in 13 a tavola, la qual cosa non solo portava male, anzi si era certi che uno dei commensali sarebbe morto entro l’anno.

A giovedì prossimo.
Diego Angeloni

Pubblicato giovedì 13 Luglio 2017 alle 00:01

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