“Apriamo ancor più le nostre case ai migranti”

L’inaugurazione della nuova sede della Caritas è stata l’occasione per fare il punto sull’accoglienza in città di chi scappa dalla guerra o da una vita di stenti. Fedele al suo stile, il vescovo Douglas Regattieri parla chiaro. “È prevedibile che tra qualche settimana ci sia un ulteriore arrivo dei nostri fratelli profughi – afferma -. Voglio lanciare un secondo appello affinché ci sforziamo di più per aprire le nostre porte. Dopo il mio primo appello c’è stata una bella risposta, non tanto di disponibilità di strutture ma di persone che, in sinergia con le istituzioni e associazioni del terzo settore, si sono impegnate ad accogliere i migranti e integrarli nella nostra società. Ma possiamo e dobbiamo fare di più”.

Nel corso del suo intervento, il vescovo ha ricordato in particolare due iniziative solidali della Diocesi. “Le diaconie della carità, con sei diaconi coordinatori per far crescere le piccole Caritas parrocchiali e gruppi di solidarietà a vivere meglio la propria vocazione. E la casa-famiglia in vescovado gestita dalla Papa Giovanni XXIII, che spero fra qualche mese possa andare a buon fine”, è il suo auspicio.

Matteo Gaggi, dirigente dei servizi sociali dell’Unione dei Comuni Valle del Savio, ha illustrato il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Spar) finalizzato a integrare nel tessuto sociale coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato e hanno scelto di rimanere a vivere in Italia. L’iter di istruttoria per ottenere lo status dura in media 7-8 mesi, ma non di rado ha tempistiche più lunghe.

L’accoglienza dei profughi nel territorio, coordinata dall’Azienda dei servizi alla persona (Asp), è caratterizzata da scelte ben precise. “Si è scelto di non ammassare i profughi, ma di ospitarli in piccole strutture dalla capienza massima di 25 posti: questo per dare loro una sistemazione dignitosa e non urtare l’equilibro territoriale – spiega Gaggi -. Inoltre sono coinvolti solo enti non profit e nessun imprenditore. È una grande esperienza di economia sociale perché l’accoglienza porta ricadute sul territorio”.

E ha snocciolato qualche dato utile a comprendere la dimensione del fenomeno. “Nel 2015 abbiamo messo a disposizione per l’accoglienza 152 posti – prosegue -. Attualmente ospitiamo 179 profughi e secondo le previsioni della Prefettura dobbiamo aspettarci l’80 per cento di arrivi in più rispetto l’anno passato: saliranno così a 250 i posti entro la fine del 2016. Ciò richiederà l’allestimento di nuove strutture di accoglienza”.

Il dirigente comunale sfata poi il luogo comune sulla correlazione tra l’arrivo dei profughi e l’aumento dei residenti stranieri in città. “A Cesena la presenza degli stranieri è in calo ed è pari al 9,45 per cento della popolazione. Nel 2014 era il 9,69 e nel 2012 il 10,02, anno in cui c’è stata la punta massima. Anche ai servizi sociali le famiglie straniere sono calate del 7 per cento”, conclude.

Tra i protagonisti dell’accoglienza c’è la Misericordia Valle del Savio, che fin da subito si è fatta apprezzare per i risultati positivi. “Dopo l’appello di papa Francesco nell’omelia del 6 settembre scorso, ci siamo subito attivati per dare il nostro contributo con quello spirito cristiano che accomuna il nostro Movimento da 770 anni – dice Israel De Vito, governatore della Misericordia Valle del Savio -. Ne è scaturito il progetto di accoglienza ’Profumo di carità’, la cui parte integrante è il coinvolgimento delle altre realtà presenti sul territorio”.

Attualmente la Misericordia si occupa degli 11 ragazzi accolti a Taibo di Mercato Saraceno, delle 6 ragazze a Sarsina e altre 6 ospitate a San Vittore, arrivate a Cesena giusto qualche giorno fa. Il costo giornaliero per l’accoglienza di ciascuna persona è di circa 30 euro. Ai profughi va un ’pocket money’ di 2,5 euro.

Parte fondante dell’accoglienza è l’integrazione: le giornate di questi giovani, condivise con i volontari, sono suddivise tra corsi di italiano, attività sportive, sartoriali, cucina o di giardinaggio, ma anche attività di volontariato civico per i Comuni ospitanti. “Non dobbiamo solo insegnare l’italiano agli stranieri, ma anche insegnare lo straniero agli italiani – sottolinea De Vito -. Chiediamo a ciascuno di toccare con mano questa esperienza: solo condividendo del tempo con loro si coglie la loro sofferenza. Il grande coraggio di queste persone, che li ha portati a solcare il mare su un gommone, deve essere per noi uno stimolo nel dare loro una speranza per un futuro migliore”.

Francesca Siroli

Pubblicato giovedì 21 Aprile 2016 alle 00:01

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