Lavoro: i nostri genitori hanno conquistato diritti: oggi vengono messi in discussione. Ragioniamone

Carissimo direttore,
mi permetto di chiedere ospitalità al tuo giornale con una chiacchierata, su un argomento che ci chiama tutti a riflettere con attenzione: lavoro, dignità, uguaglianza. Non sono competente in materia di politica, ma sono cresciuta con un “concetto di bene comune” centralissimo nell’insegnamento della Chiesa, come fondamentale punto di riferimento di una società politica occidentale la quale afferma che dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva il principio al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pieno senso.

Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascuno, poiché essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche e soprattutto in vista del futuro. È il lavoro, bene comune, di indiscutibile valore, oggi forse più di ieri, messo in discussione, con argomentazioni politiche che dimostrano una democrazia malata. In questi giorni cresce la tensione e la mobilitazione anche spontanea nei luoghi del lavoro. E davanti a un governo che gode delle miserie di una politica allo sbaraglio, la disoccupazione continua a crescere, esattamente come le nuove deliranti forme tributarie.

Da questa crisi, se continuiamo a pensarla passeggera, non usciremo più. Non sarà cambiando in modo esclusivamente di parte lo statuto dei lavoratori, per il quale la generazione dei nostri genitori ha dato anche fisicamente la vita, che le imprese cominceranno ad assumere! Il famigerato articolo 18 non difende i fannulloni. Difende chi viene ingiustamente licenziato, difende chi lavora onestamente, le persone serie e che il proprio lavoro lo fa ogni santo giorno! Non è accettabile pensare neppure per errore che la frase detta a una collega di lavoro da un responsabile dell’azienda per la quale lavoro, possa diventare prassi comune per ricatti e svilimenti: “…. attenta, perché sei su una barca in alto mare e hai solo un remo, che io ti posso togliere quando voglio”! Non sono lontani i tempi in cui con un solo cenno del capo e della mano si rimandava a casa un operaio!

Ma non è solo l’articolo 18 a essere attaccato. I vouchers che fino a ora potevano essere utilizzati in modo limitato in agricoltura solo per gli studenti e i pensionati, ad esempio per la vendemmia, in modo del tutto occasionale e per un ammontare limitatissimo, se passerà la proposta del Governo saranno estesi a tutti i lavori e a tutti i lavoratori fino a un ammontare annuo che supera i 5mila euro. Questo vuol dire che i 51isti e i 104isti non lavoreranno più con contratti che garantiscono quel minimo di giornate annue, perderanno il diritto alla riassunzione e alla disoccupazione, non avranno contributi per la pensione, non avranno alcuna copertura per la maternità, malattia, infortunio e nessun altro diritto. Ripeto: diritti conquistati con la vita di molti nostri genitori!

Ancora. Altro elemento di ricatto e umiliazione, la possibilità che il datore di lavoro possa demansionare i suoi dipendenti, per legge (!), senza accordo con il dipendente e senza un confronto con le parti sindacali, anche se il dipendente ha acquisito professionalità e molti anni di lavoro. Demagogia? Non credo proprio. Stiamo attenti e con disponibilità ascoltiamo e confrontiamoci anche con chi con fermezza esce dal coro e dagli applausi facili.

Abbiamo bisogno di “sognare” un Paese diverso. Non significa pura teoria, ma guardando avanti aggiungere un passo alla volta, a testa alta, per guardare bene la strada comune da fare. Da questa crisi dobbiamo tornare più forti e lasciare alle nuove generazioni una cultura da condividere e vivere. Io parteciperò.

P.S.
Mi verrebbe da dire con Benigni: “So che stanno rimettendo mano alla Costituzione, mi debbo spicciare a fare i 10 comandamenti (ultimo suo spettacolo), non vorrei mettessero mano anche a quelli!”. E non ci sarebbe da ridere.

Morena Sirotti

Carissima Morena,
poni una questione molto delicata, assai dibattuta e controversa. Non solo quella relativa all’articolo 18, una sorta di icona di un pensiero che forse, ma dico forse, ha anche fatto il suo tempo. Ma il tema del lavoro è quello che ci assilla e ci deve assillare perché si possa, finalmente, trovare una soluzione a una crisi che appare senza sbocchi.

Anche su queste colonne ne parliamo in tantissime occasioni. Giovani, famiglia e lavoro sono in cima ai nostri pensieri e alle nostre riflessioni. Come uscire da questo vicolo cieco? Questo è il vero dilemma. Si possono infrangere i limiti imposti da una legislazione che negli ultimi decenni ha compiuto notevoli passi in avanti nella tutela dei lavoratori e nell’assicurare anche tranquillità e stabilità a chi un’occupazione l’ha trovata? E’ su questo piano, penso, che si incontrano tante divergenze.

In un mercato globale, la concorrenza di Paesi che non rispettano le più elementari tutele verso i dipendenti pone questioni non di poco conto. Anzi, proprio da questi Paesi arrivano prodotti simili a quelli da noi realizzati, ma a prezzi molto più bassi, anche a motivo del costo del lavoro. In questa situazione, l’alternativa che si pone è dirompente: manteniamo (come è giusto dovrebbe essere) le posizioni acquisite, oppure ci mettiamo in gioco cercando di essere competitivi? Qualche anno fa le chiamavano le tigri del sudest asiatico, appunto per fare comprendere il grado di aggressività di certi Stati. Ora l’aggressione arriva da ogni continente. Il crollo dei prezzi in agricoltura è un argomento a noi, purtroppo, arcinoto. Che fare, quindi?

Come spesso accade, la soluzione va trovata nel mezzo. Se ciascuno cedesse un po’ del suo, può darsi che qualche progresso si possa davvero compiere. Meno tutele per i garantiti, più flessibilità e magari più assunzioni, ma non a scapito della sicurezza e della dignità delle persone. Un fatto mi pare chiarissimo: non si possono pensionare o licenziare, spesso a carico del contribuente, i genitori per assumere i figli con stipendi spesso da fame. Questo ragionamento non è moralmente accettabile. Come anche non si possono difendere a oltranza quanti non compiono il loro dovere. Assenteismo e disaffezione per l’azienda per cui si lavora, privata o pubblica che sia, non sono più tollerabili. Non ce lo possiamo più permettere. Per tutto il resto, direi, ragioniamone con serenità e senza pregiudizi. E speriamo che le misure per incentivare le assunzioni adottate la scorsa settimana dal Governo Renzi portino qualche novità positiva.

A presto.
Grazie mille per aver affrontato il problema.

Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

Pubblicato giovedì 23 Ottobre 2014 alle 00:01

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