Giornate di “Liberazione” e una lontana nostalgia

Al di là dei fugaci entusiasmi dei neo-giacobini alla ricerca, ancora una volta, di un “ordine nuovo”, ci troviamo di fronte alle sfide di una rivoluzione antropologica. Le parole sono quelle di sempre, ma il loro contenuto è, spesso, radicalmente modificato

di Piero Altieri

Riprendo in mano le pagine del “diario” di don Leo Bagnoli. Alla data del 20 ottobre 1944 ci racconta, quasi una radiocronaca, l’arrivo da Porta Santi verso il centro città di Cesena delle prime pattuglie degli Alleati. I canadesi scendevano dal Monte, gli inglesi risalivano dalla via Emilia. A breve distanza, i mastodontici carri armati, con la presenza di partigiani che erano discesi a valle col proposito di essere in prima fila nella giornata della “Liberazione” di Cesena.

Nella notte i tedeschi si erano ritirati oltre il Savio; erano nella necessità di accorciare la linea del fronte, inviando rinforzi sopra Bologna, dove la V armata Usa stava premendo.

Liberati dall’incubo del Nazifascismo, si mise mano alla ricostruzione: ricostruire le tante case dilaniate dalla violenza della guerra, rabberciare le strade, riattivare le fabbriche, riaprire alla meno peggio le scuole. Ma ancor più, ricostruire quel tessuto sociale che era stato inaridito dalle ideologie totalitarie e segnato dal sangue crudele della “guerra civile”.

I tempi della “Resistenza”, prima ancora che organizzare la lotta armata (spesso con i risvolti amarissimi della rappresaglia) avevano fatto crescere, giovani con gli anziani, quella coscienza democratica che è presupposto necessario per dare vita e significato alla partecipazione responsabile della “città”, davvero a misura dell’uomo. Giorni e tarde serate impegnate nel dibattito politico sostenuto dai riorganizzati partiti politici.

Passione e anche entusiasmo che a volte poteva esprimersi anche con la violenza… Ma quanta nostalgia a ripensare a quella stagione, oggi, a tanta distanza di tempo! Seppure insidiate dalle infiltrazioni della ideologia comunista (succube il Psi) che continuava a guardare con fiducia all’utopia tragica del Comunismo sovietico, le discussioni e i confronti (riscontri urlati nelle pagine dei periodici locali) erano ancorati, seppure non sempre esplicitamente, su quei “valori” che da sempre avevano forgiato la coscienza della nostra gente, approdando ben presto nei “Principi fondamentali” della Costituzione della Repubblica.

Sono trascorsi settant’anni, ma le trasformazioni che hanno dato un nuovo volto alla nostra società, hanno modificato (inquinato?) nel profondo le radici stesse della nostra cultura. Al di là dei fugaci entusiasmi dei neogiacobini alla ricerca, ancora una volta, di un “ordine nuovo”, ci troviamo di fronte alle sfide di una rivoluzione antropologica. Le parole sono quelle di sempre, ma il loro contenuto è, spesso, radicalmente modificato.

Tuttavia – e questo noi adulti e anziani lo dobbiamo fermamente testimoniare alle nuove generazioni – non abbiamo di fronte il baratro di una crisi irreversibile. Ci sostiene la speranza illuminata della fede, quella fede del Vangelo che fece scrivere al filosofo non credente Benedetto Croce che chiamava alla resistenza, nonostante le deliranti vittorie degli eserciti con la svastica: “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Eravamo nel tardo autunno del 1943.

Tuttavia, allora, ancora oggi, in dialogo leale con ogni uomo di sana coscienza (ed è la ragione non strumentalizzata che la sana e la risana) possiamo rinnovare l’entusiasmo con cui si diede accoglienza ai tanti giovani che da tante parti del mondo erano venuti nelle nostre terre perché potessimo tornare a vivere in quella libertà che il Creatore ci ha donato. Il più anziano dei soldati sepolti nel cimitero di guerra a Sant’Egidio di Cesena, non aveva più di trent’anni. Sarà così un nuovo orizzonte e per l’Europa e per le responsabilità che l’Italia ha, da sempre, essendo affacciata sul Mar Mediterraneo.

Pubblicato giovedì 16 Ottobre 2014 alle 00:02

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