Commento al Vangelo – II domenica dopo Pasqua – Anno A

La fede è un salto oltre la ragione. Ci si affida a Dio

Seconda domenica di Pasqua – Anno A
At 2,42-47; Salmo 117; 1Pt 1,3-9 ; Gv 20,19-31

Meno male che nel Vangelo ci sono personaggi come Tommaso, altrimenti me ne sarei andata molto tempo fa… forse c’è un filo di speranza anche per me”. Così mi ha detto una cara amica qualche giorno fa al termine di un lungo sfogo sulla fatica del credere. Nel Vangelo, in effetti, non si dice mai che la fede granitica, esente da dubbi, sia più sicura della fede intrecciata di domande. Tant’è vero che la prima parola di Maria, modello di ogni credente, non è un “sì”, ma una domanda: “Com’è possibile?”.

Essere cristiani significa esporsi alla possibilità del dubbio; accettare il Vangelo non vuol dire imboccare una strada diritta, continuamente rischiarata dal sole della fede. Ci sono eventi della vita che spesso mettono a rischio quelle certezze che magari abbiamo raggiunto con fatica, oppure ci fanno apparire gli insegnamenti ricevuti a catechismo come inadeguati rispetto a quello che viviamo. È vero, noi siamo la comunità di coloro che vivono nella gioia del Risorto, ma ognuno con i propri tempi e con i propri dubbi.

Una lettura troppo approssimativa sull’incredulità di Tommaso non rende ragione di una dinamica così complessa qual è la fede. Se siamo onesti con noi stessi, non possiamo chiamarci fuori: chi di noi non ha mai avuto dubbi di fede? Dal primo papa, l’apostolo Pietro, che non riesce a emulare il Maestro nel camminare sulle acque perché dubita della sua presenza, fino alle sconcertanti rivelazioni di Madre Teresa di Calcutta circa la sua aridità spirituale, passando attraverso le esperienze drammatiche della spiritualità dell’annichilimento di un Giovanni della Croce e di Teresa d’Avila, il cammino della fede appare tutt’altro che rassicurante. E questo perché la fede comporta sempre un “salto” rispetto a ciò che vediamo, e quindi, in quanto tale, contempla sempre qualche zona di oscurità.

Se fosse tutto evidente, se Dio si mostrasse ai nostri sensi, non avremmo bisogno della fede, di questo “salto”: basterebbe guardare e toccare. L’atto di fede è proprio questo salto che va oltre – non contro, ma oltre – la ragione; anzi, in un certo senso sia il credente che il non credente debbono entrambi compiere questo salto che va oltre la ragione. Il credente decide di affidarsi a un Dio che non può vedere e di cui non può provare l’esistenza; il non credente decide di affidarsi al nulla, ma nemmeno lui può provare che sia vera la sua scelta.

Alessandro Forte

Pubblicato giovedì 24 Aprile 2014 alle 00:00

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