La comunicazione rischia di essere solo pubblicità

Un centinaio di giornalisti al convegno “La responsabilità del giornalista: tutto è permesso?”, mercoledì 24 maggio al Palazzo del Ridotto, evento del Festival della comunicazione con crediti formativi per gli iscritti all’Ordine.

All’inizio dell’incontro, i saluti di Marco Bonatti, responsabile della comunicazione della commissione diocesana per la Sindone di Torino, e di Luca Rolandi, direttore del sito della Diocesi di Torino e di vocetempo.it. Entrambi si sono formati alla scuola della “Voce del Popolo”, settimanale diocesano torinese, sotto la direzione di don Franco Peradotto, fra i soci fondatori della Fisc, e hanno evidenziato l’importante ruolo dei giornali diocesani nella formazione di tanti giornalisti.

Hanno mosso i primi passi nelle redazioni della stampa cattolica locale tutti i relatori del convegno: Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, Gianfranco Fabi, ex direttore di Radio 24 ed ex vice-direttore del Sole 24 Ore, e Giorgio Tonelli, giornalista Rai.

Il direttore di Avvenire, nel suo intervento, si è soffermato sull’uso distorto di tre parole: “cooperative”, “ong” e “corridoi umanitari”, spesso “manipolate” e utilizzate in senso dispregiativo dal mondo dell’informazione. “Le parole sono importanti – ha detto Tarquinio -. Vanno usate con responsabilità. Non esiste libertà di informazione senza responsabilità”.

Gianfranco Fabi ha sottolineato che i giornalisti devono essere i “testimoni critici della realtà”, non i “megafoni”. “Se la politica spesso crea consenso attraverso la manipolazione della verità – ha aggiunto Fabi – i giornalisti hanno la responsabilità di dire cosa non è vero, anche a rischio di essere impopolari”. Per Fabi, nell’epoca dell’informazione globalizzata, i pericoli sono quattro: “superficialità, manicheismo, relativismo e audience”.

“Il nuovo sistema informativo – ha evidenziato Giorgio Tonelli – viaggia sul bianco e sul nero, dimenticandosi che la realtà è fatta di tante sfumature. Internet premia gli estremi e questa logica sta contaminando l’informazione televisiva”. Per fare un esempio, “i mezzi digitali danno pari rilevanza all’opinione dello scienziato e dell’uomo della strada. Il grande assente è il giornalista, che dovrebbe farsi mediatore in una società complessa”.

Fra i problemi evidenziati nel convegno c’è quello che Tarquinio ha definito “informazione selfie”: l’internauta “cerca quello che gli assomiglia per confermare la propria opinione”. Di conseguenza oggi “c’è più intolleranza e meno ascolto”.

“Con il web – ha aggiunto Fabi mettendo in discussione la reale “democraticità” del mezzo – si moltiplicano le opportunità di diffusione delle notizie, ma anche quelle di distorsione”.

All’unisono i relatori sono giunti alla conclusione che mai come oggi, quando tutti possono farsi protagonisti del circuito della comunicazione globale, compito del giornalista è quello di verificare e approfondire i fatti nella loro complessità. Quasi mosso da uno spirito di solidarietà verso il prossimo, il giornalista ha il compito di aiutare il fruitore dell’informazione a individuare la Verità in mezzo a tante voci. “Tutta la comunicazione se non è amore è pubblicità”, diceva Enrico Ghezzi, citato dai relatori del convegno.

Matteo Venturi

Pubblicato giovedì 8 Giugno 2017 alle 00:01

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