Cesena ha incontrato l’ergastolano Carmelo Musumeci

Qual è il confine tra la responsabilità personale dei reati commessi e quella del contesto sociale in cui una persona è cresciuta, a partire dalla famiglia di origine? Quale percorso rieducativo è effettivamente possibile negli istituti penitenziari? Ha senso scontare una pena che dura per tutta la vita?

Sono questi alcuni punti di riflessione emersi dall’incontro “Comunicare dietro le sbarre” tenutosi venerdì sera presso l’aula magna della Biblioteca Malatestiana e proposto all’intero del Festival della Comunicazione insieme alla Comunità Papa Giovanni XXIII e al Cantiere 411.

Ospite della serata l’ergastolano Carmelo Musumeci, che, condannato 25 anni fa con l’accusa di appartenere ad un organizzazione malavitosa, oggi è portavoce del malessere all’interno delle carceri e della campagna per l’abolizione della pena che dura per tutta la vita.

Nato in provincia di Catania, Carmelo ha raccontato come sin da bambino sia cresciuto in un quartiere in cui i poliziotti venivano additati come gli “uomini neri”, che in casa della sua famiglia era normale vedere una pistola sul tavolo e che la nonna lo portava al mercato per compiere qualche furto.

Musumeci ha trascorso 5 anni nel duro carcere dell’Asinara. Per un anno e mezzo è stato in isolamento totale.

Nonostante i momenti di disperazione, grazie al sostegno della moglie e dei figli, si è dato da fare conseguendo la laurea in giurisprudenza, discutendo una tesi sulla vita in carcere, denunciando le vessazioni subite e rivendicando i diritti dei detenuti.

La svolta decisiva è avvenuta dopo l’incontro con Don Oreste Benzi nel 2007 nel carcere di Spoleto. In occasione di un digiuno organizzato insieme ad altri ergastolani Musumeci chiese a don Oreste di sostenere la loro causa.

“Restare in cella – ha spiegato l’ergastolano – in un contesto in cui le relazioni sono ridotte al minimo se non completamente eliminate, una persona assume il ruolo di vittima piuttosto che rendersi conto dei propri errori. Solo guardando negli occhi Agnese Moro (figlia di Aldo Moro, lo statista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978, ndr) – ha proseguito – ho compreso la gravità di ciò che avevo fatto e mi sono sentito in colpa”.

“Per fare il bene devi conoscerlo” ha ribadito Musumeci. Oggi gli è stato concessa la semilibertà e presta servizio in una casa di accoglienza per adulti e bambini con disabilità dall’Associazione Papa Giovanni XXIII a Bevagna in Umbria. La responsabile della struttura, Nadia Bizzotto, da anni incontra ergastolani e porta il suo servizio nel carcere di Spoleto.

“In questa nuova realtà vedendo fare tanto bene ho ripensato e compreso la gravità del male che in passato ho commesso. Ora mi è data la possibilità di recuperare almeno in parte facendo del bene per la società. I miei eroi sono queste mamme che in comunità si prendono cura di figli di cui nessuno si è voluto occupare”.

“Oggi sono qui tra voi – ha concluso Musumeci – per portare la voce di tanti altri carcerati e per dire che una pena che non finisce mai non ha senso nè per chi la deve scontare nè per la società civile che si trova a sopportarne i costi”.

Carmelo Musumeci ha conseguito una seconda laurea in filosofia, è autore di alcuni libri autobiografici tra i quali il recente “Angelo senza Dio”.

“Solo ora che sono felice – ha concluso Carmelo – mi rendo conto di quanto ho sofferto nella mia vita. Non c’è giorno nel quale non pensi alle vittime e ai loro familiari”.

Elisa Romagnoli

Pubblicato giovedì 1 Giugno 2017 alle 00:01

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