Commento al Vangelo – III domenica di Pasqua – Anno A

La certezza più consolante del cristiano: il Signore non ci abbandona mai

Domenica 30 aprile (Anno A) – 3ª Domenica di Pasqua
At 2,14a.22-33; Salmo 15; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35

Continua l’annuncio dei frutti della risurrezione di Gesù: nasce la Chiesa, ci è stato annunciato domenica scorsa. Oggi i brani biblici della Messa completano: nasce l’uomo nuovo. San Pietro, nel discorso di Pentecoste narrato dagli Atti e nella sua prima lettera, presenta l’identità di coloro che, credendo nel Risorto, sono da lui redenti ed entrano a far parte del suo popolo.

Afferma Pietro: il Cristo Risorto “Innalzato alla destra di Dio”, “dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso” su coloro che credono in lui. E annuncia: “Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia”.

Ecco l’identità dei cristiani: arricchiti del dono dello Spirito Santo, sono liberati da una vita vuota di significato, grazie al “sangue prezioso di Cristo”. E sono così riempiti delle virtù “teologali”: “Voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio”. Fede, speranza, unite alla carità: questi i fondamenti dell’esistenza di chi segue Gesù Risorto.

Da questo nasce la vita nuova dei redenti: “Se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri”.

Ma, pur con queste ricchezze e queste certezze, resta il fatto che non sempre l’esperienza concreta dei redenti è lineare; la vita di ogni cristiano è segnata da dubbi, da momenti in cui risulta difficile sentire la presenza del Risorto.

È quanto accade ai discepoli di Emmaus, la cui “avventura” è già stata narrata nella Messa vespertina di Pasqua: avevano perduto la fede in Gesù e fuggivano da ciò che lo ricordava. E con la fede, anche la speranza: “Noi speravamo…”. Ma, nella loro fuga, Gesù non li lascia soli: “Si avvicinò e camminava con loro”. I due fuggiaschi, a questo punto, “si fermarono, col volto triste”.

Avevano perso fede e speranza, ma l’amore era ancora nel loro cuore, testimoniato dalla loro tristezza. E quando lui finge di volerli lasciare, sentono di non potere più fare a meno di lui: “Essi insistettero: ‘Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto’. Egli entrò per rimanere con loro”. E lo riconoscono nella sua Parola e poi nell’Eucaristia. La storia dei due di Emmaus è anche la storia di noi cristiani che, lungo strade diverse, lo abbandoniamo per la nostra fragilità, ogni volta che nella nostra vita “si fa sera”, ogni volta che ci sembra che il giorno della nostra fede sia “ormai al tramonto”. Ma lui non si arrende: ci segue, ci insegue, ci interroga, ci scuote come “stolti e lenti di cuore”.

È la certezza più consolante per ogni cristiano: noi possiamo abbandonare mille volte il Signore, ma lui mai abbandonerà noi.

Vincenzo Rini

Pubblicato giovedì 27 Aprile 2017 alle 00:00

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