Valeriano Biguzzi e il dialetto, una storia d’amore lunga una vita

CESENA – C’è chi ha appreso il dialetto da piccolo, lo ha lasciato cammin facendo e poi lo ha ritrovato anni dopo, riabbracciandolo al pari di un vecchio amico. C’è chi, invece, il dialetto non lo ha mai ascoltato in casa ma se ne è innamorato ascoltando gli spettacoli in romagnolo. E chi, infine, con il dialetto vive una storia d’amore lunga una vita, come Valeriano Biguzzi.

Biguzzi, molto conosciuto per il suo impegno in diocesi e nel volontariato, ha parlato dialetto sin dalla più tenera età: “Poi, arrivato alle elementari, ho fatto i conti con l’italiano. Ma il dialetto è rimasto la lingua di casa”.

Il suo legame con il romagnolo non si è mai spezzato, grazie alla passione per le recite dialettali: “Sono state soprattutto le compagnie filodrammatiche – spiega Biguzzi – a tener alta la bandiera del dialetto nel tempo. Negli anni ’60 ricordo quella di San Carlo, col grande regista Nazario Amadori, Torre Del Moro che si fregiava dello sceneggiatore don Sergio Cappelletti, Ponte Abbadesse con don Gino Amadori. Poi nella metà degli anni ’70 ci fu Dri la Rola, espansione della compagnia parrocchiale di Pievesestina. Con loro ho diretto due commedie che ebbero molto successo al teatro Jolly: “E vero amor, una bota e un fior” e “So e zo pr’al scheli”, quest’ultima del faentino Ermanno Calo, con primo attore Dino Falaschi che normalmente recitava solo in italiano e che ebbi l’onore di dirigere in dialetto”.

Il successo delle compagnie dialettali non è, in genere, legato ad un territorio specifico: “Il bello del romagnolo è che, pur con accenti diversi o sonorità diverse, si capisce in tutta la Romagna. Questo ha permesso alle compagnie di portare i propri spettacoli con successo fino a Imola”.

Oggi ci sono altre compagnie parrocchiali alla ribalta: “Penso a San Pietro, Bulgaria, Bulgarnò e alla Broza. Ricordo anche Calisese, impegnata in spettacoli importanti, anche se da qualche tempo non propone spettacoli”.

“Oggi con mia moglie Marilena andiamo a vedere spesso la compagnia Dè Bòsch, dove sono sono, due ore di vero spasso. Ma ci sono anche eventi legati al dialetto romagnolo che si svolgono fuori dai teatri. Al di là dell’importante rassegna annuale Te Ad Chi Sit e Fiol, che ha dato visibilità in modo ampio dialetto, mettendo assieme tante realtà diverse, vorrei ricordare anche Papaveri e lucciole a Gattolino. Si tratta di una camminata notturna che si svolge ogni anno alla fine di maggio lungo i campi, con il grano che comincia a biondeggiare e le lucciole che accompagnano i viandanti. Arrivati in un’aia abbandonata, gli attori di Chi Ad San Zili mettono in scene una farsa breve sulla vita di un tempo, con aspetti legati al matrimonio, al fidanzamento, alla scuola o altro”.

“Il bello del dialetto – conclude Biguzzi – è che certe parole sono intraducibili, sono legate alle emozioni. Pensiamo solo al momento in cui comincia a nevicare, reso in romagnolo da e sfrofla. Sono cose che fanno bene al cuore”.

Michelangelo Bucci

Pubblicato giovedì 9 Marzo 2017 alle 00:02

Una risposta a “Valeriano Biguzzi e il dialetto, una storia d’amore lunga una vita”

Commenti

  1. Paolo Agostini 18 Mar 2017 / 00:09

    L’intensa ed assai partecipata celebrazione eucaristica svoltasi questa sera nel Santuario del SS. Crocifisso in Longiano – come d’altronde accade ogni venerdì di Quaressima – ha trovato il suo culmine nell’omelia del nostro Vescovo Regattieri: un’efficace riflessione sulle vicende di Giuseppe, venduto per invidia dai suoi fratelli, antesignano del sacrificio di Cristo. Morale: a noi il generoso sforzo di sbarazzarci delle nostre invidie, gelosie, maldicenze, che di fatto troppo spesso ci portano a “crocifiggere” ingiustamente chi spesso, migliore di noi, non le merita affatto. Modestia dunque, e tanto amore verso tutti.

Brevi quotidiane

Ultimi articoli

Ultimi interventi

Parole di Vita

Archivio Documenti