Europa, quel rapporto fecondo con le antiche radici

di Piero Altieri

Tra poco più di un mese, il 25 marzo prossimo, tutte le Nazioni che fanno parte dell’Unione europea saranno convocate a Roma per celebrare il 60° anniversario dei Trattati che diedero inizio al costituirsi di quella comunità di Stati che prenderà il nome di Unione europea.

I rappresentanti dei primi sette stati si ritrovarono per sottoscriverli in Campidoglio. E certamente non fu una scelta priva di significato.

Si mettevano le fondamenta di un progetto politico che avrebbe dovuto garantire un futuro di pace operosa, in un clima di solidarietà vissuta nel recuperato orizzonte del metodo democratico. Si era all’indomani del tragico crollo delle ideologie del Nazifascismo che avevano tentato di dare all’antico continente un’identità capovolta rispetto a quella storia bimillenaria che, a partire dalla crisi dell’Impero romano di Occidente, grazie al “fermento” dell’Evangelizzazione, aveva fatto incontrare nel cuore delle antiche “terre” gli eredi della civiltà greco-romana con i popoli germanici prima e poi con le popolazione slave che provenivano dall’Est.

La sapienza di papa Paolo VI ha proclamato patrono d’Europa San Benedetto, patriarca di quei monaci che lungo i secoli hanno portato la luce del Vangelo ai popoli del nord. E così è stato, a partire dal IX secolo con i popoli slavi. E per loro e per tutti noi il papa slavo Giovanni Paolo II ha voluto aggiungere la protezione dei Santi Cirillo e Metodio. Avvennero, allora, invasioni che talvolta furono segnate dalla violenza ma, sempre, portatrici di una cultura che arricchì l’esausta vita dell’ “Occidente”. Un Occidente sempre più lontano da quei valori che, seppure alle volte con la violenza, avevano amalgamato i popoli che si affacciavano sulle rive del Mediterraneo.

Una storia che viene da molto lontano! Una storia che i padri fondatori della nuova Europa – l’italiano Alcide De Gasperi, il francese Robert Schumann, il tedesco Konrad Adenauer e con loro come non ricordare il “Manifesto” scritto, mentre era al confino nell’isola di Ventotene, da Altiero Spinelli – hanno posto in capite dei loro progetti aprendo il cantiere della “ricostruzione”.

Ma quanta tristezza nel dovere constatare, ai nostri giorni, un clima torbido e un’opinione pubblica che, da euroscettica, sempre più si esprime con linguaggio e gesti che mirano a distruggere le mura e, prima ancora, le fondamenta della grande casa comune. Non ci diciamo più, come gli antichi che hanno forgiato questa storia, “gentes europeenses sumus”.

Siamo ben consapevoli che a creare questo turbamento e questa crisi, negli ultimi tempi, sono state ragioni di natura economico-finanziaria. Cui si è aggiunta l’“invasione” di intere popolazioni in fuga dal terrorismo fondamentalista di matrice islamica (reazione a suo tempo della “politica coloniale” delle potenze occidentali, già all’indomani del primo conflitto mondiale), la fuga di masse dall’Africa sub sahariana, vittime di uno sfruttamento che ha sconvolto le loro seppur patriarcali economie, ostacolando altresì l’elaborazione di ordinamenti democratici, impedendo quel “progresso integrale” senza il quale sarà (è già!) inevitabile lo scoppio della collera dei popoli, come profeticamente, 50 anni fa, ci avvertiva papa Paolo VI con la enciclica “Populorum progressio”.

Ci siamo ridotti a vivere e ad agire in una “società liquida”, come saggiamente ci ha ammonito Bauman, recentemente citato da papa Francesco incontrando gli studenti e i professori dell’Università di “Roma tre”.

Non si può costruire un edificio senza solide fondamenta! Ed è ormai da secoli che le antiche fondamenta le abbiamo compromesse, nell’illusione di un progresso senza limiti, censurando la forza della ragione che ci consente di approdare a quella “verità” con cui il Creatore ha sigillato l’opera sua e in primis l’uomo.

Se non recuperiamo un rapporto fecondo con le antiche radici, come potremmo affrontare le sfide della globalizzazione, in un confronto non supino con la nuova dirigenza degli Usa e un rapporto non di contrapposizione con la Russia di Vladimir Putin?

E ancor più, per una politica d’accoglienza e di integrazione per le folle che arrivano alle nostre coste, che sono poi le frontiere dell’Europa! E ancora, per una cooperazione che consenta a questi popoli in fuga dall’Africa una promozione economica che faccia loro desiderare di rimanere nelle terre dei loro padri…

Utopia? No! Sano realismo. Altrimenti potremmo soccombere al fascino del baratro scavato dalla cultura del nichilismo e dando compimento all’antico nome che definiva l’Europa, l’Occidente, la terra dove tramonta il sole.

Pubblicato giovedì 23 Febbraio 2017 alle 00:01

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