Il sociologo Deriu ha parlato di violenza sulle donne

La violenza sulle donne vista dagli uomini. Ne ha parlato Marco Deriu, sociologo del’Università di Parma, che mercoledì scorso nella sede della Virtus, a Ponte Abbadesse di Cesena, ha aperto il ciclo di incontri “E’ difficile che l’uomo chieda aiuto da solo”, che vuole analizzare la questione dal punto di vista dell’aggressore. «Gli uomini di solito non ammettono le proprie responsabilità», ha affermato in apertura Ines Briganti, presidente dell’associazione Perledonne, promotrice degli incontri con il supporto degli assessorati agli sport e politiche delle differenze comunali, in collaborazione con le associazioni sportive Nuova Virtus, Volley Club Cesena, Asd Romagna Centro e Usd San Marco.

Le statistiche non lasciano scampo. «Sono 2.800 le donne che hanno perso la vita tra il 2000 e il 2016, con una media annuale di 160 vittime. L’anno scorso è stato uno dei peggiori: ben 181 casi. Omicidi che si aggiungono agli episodi di violenza che hanno coinvolto in totale 7 milioni di donne», ha snocciolato i dati Deriu, membro dell’associazione nazionale Maschile Plurale, che nel settembre del 2006 lanciò un appello contro la violenza sulle donne.
Deriu ha collaborato con l’Ausl regionale per la nascita dei primi centri pubblici per uomini con problemi di violenza: quello di Modena nel 2011 e quello di Parma nel 2014. Attualmente sta lavorando a una ricerca su coloro che hanno terminato il trattamento. Si tratta del primo tentativo di analizzare in profondità il cambiamento. «In passato si è parlato molto di violenza sulle donne lasciando sullo sfondo l’autore della violenza, il vero protagonista – ha proseguito -. Chi commette violenza è una minoranza di uomini, eppure significativa. Nessuno va considerato irrecuperabile. Nelle interviste che ho condotto sui carcerati, nessuno ammetteva fino in fondo quello che aveva fatto: il tema del diniego è un dato costante. Il conflitto interiore porta loro a rimuovere questi episodi».
Una realtà, questa, che appare diversa da come la si immagina. «In Italia i femminicidi sono più numerosi al Nord che al Sud e in Europa nei paesi nordici che in quelli mediterranei. Dunque in contesti economicamente più avanzati e dove c’è un minore gap di genere», ha evidenziato.
Esiste un fortissimo livello di violenza che colpisce, in primis, proprio gli uomini. Fondamentale è indagare la connessione storica tra maschilità e violenza. «Le statistiche dicono che una parte consistente di questi ha avuto un imprinting alla violenza in famiglia – ha analizzato il sociologo -. Inoltre c’è l’aspetto della socializzazione alla violenza che avviene in diversi contesti, a scuola, nei locali, nello sport, tramite i videogiochi o i modelli di virilità proposti. Nei codici maschili, l’uso della violenza per imporsi è uno status».
Perché la violenza interessa le relazioni affettive? «Nasconde un altro significato: tenere sottomessa una persona a cui si è dipendenti – ha sottolineato -. Questo tipo di violenza è differente dalle altre, colpisce in contesti sociali avanzati. Si tratta di uomini che di fronte a un conflitto non accettano la libertà e l’indipendenza delle donne con cui sono in relazione».
C’è bisogno di una nuova educazione sulle relazioni che cambiano. «E’ necessario un investimento educativo sulla paternità e in generale sulla cura che dura tutta la vita da parte degli uomini. Un aspetto importante lo riveste la sessualità: pensiamo alla prostituzione che cela l’incapacità di fare i conti con una relazione paritaria. E, infine, c’è il tema cruciale delle separazioni: oggi è più facile costruire relazioni ma anche chiuderle», ha concluso Deriu.

Francesca Siroli

Pubblicato venerdì 3 Febbraio 2017 alle 08:53

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