Dopo la tragedia avvenuta nel Ferrarese per mano di adolescenti, insegnanti e studenti si interrogano sul rapporto giovani-adulti

Caro direttore,
la notizia del ragazzo di Ferrara che ha ucciso i genitori con l’ascia per divergenze sui voti a scuola penso abbia interrogato e preoccupato tanti genitori ed insegnanti che ogni giorno hanno a che fare con gli adolescenti. Come si può uccidere qualcuno per dei brutti voti a scuola?

Questa è la domanda che tutti ci stiamo facendo e il rischio è quello di rispondere considerando quello che è accaduto ad un fatto eccezionale ma che non interessa genitori e insegnanti “comuni”.

Non conosco il dettaglio di quello che è accaduto a Ferrara e non voglio entrare nei particolari ma da insegnante e genitori ogni giorno vivo accanto a tantissimi ragazzi che in qualche modo stanno cercando di dire a noi adulti qualcosa, per questo vorrei fare alcuni esempi di quello che mi hanno detto alcuni ragazzi in questi ultimi mesi.

Una ragazza molto brava a scuola mi ha scritto: a volte penso come sarebbe bello tornare a casa, prendere otto e vedere i genitori pieni di gioia per quel voto. Invece i miei mi avrebbero già detto “Brava, ma puoi fare di più”.

Un’altra mi ha scritto rivedendomi un “grandissimo segreto”, qualcosa che non aveva mai rivelato a nessuno, che sin da piccola le sarebbe piaciuto fare la parrucchiera e che non l’aveva mai detto a nessuno per la paura di come l’avessero giudicata genitori ed amici.

Un ragazzo di prima superiore già ripetente mi racconta quasi ogni settimana la passione che ha nel modificare e abbellire vecchi motori, scooter e la sua ape. Visto che continua ad andare male a scuola un giorno gli ho chiesto perché non avesse deciso di fare una scuola meccanica e semplicemente mi ha risposto: “i miei genitori non vogliono che faccia il meccanico anche se è la mia passione”.

Qualcuno prima o poi mi spiegherà il senso e il gusto di vedere proprio figlio bocciato e in certi casi anche umiliato dai brutti voti per qualcosa che non vuole studiare a causa dei genitori. (…)

Ora non penso di essere un fenomeno nè come genitore nè come insegnante, ma penso di aver capito una cosa: molti di questi ragazzi vorrebbero gridare che non sono un voto, un prodotto da fare crescere o un investimento remunerativo, questi ragazzi (e anche questo mi scrivono) hanno desiderio di libertà, di amicizia, di vedere qualcosa di bello e nuovo nella vita, di scoprire insomma per cosa vale la pena vivere.

Il problema è cosa stiamo proponendo loro come insegnanti e genitori. Tutti dobbiamo porci questa domanda. E’ l’unica strada per iniziare ad ascoltare quel grido che altrimenti rischia di diventare violenza. A presto e buon lavoro.

Fabio Domenico Tallarico

***

Caro direttore,
le scrivo perché voglio raccontarle un episodio accadutomi stamattina. Per un qualsiasi universitario medio il mese di gennaio significa soltanto una cosa: la sessione che incombe. Eppure attorno a noi studenti il mondo va avanti, e spesso si rischia di dimenticarsene.

Così stamattina mi sveglio e mi imbatto casualmente in un altro dei mille articoli sull’omicidio avvenuto nel ferrarese, dato che in questi giorni non si parla d’altro. Nonostante conoscessi già l’accaduto e avessi già letto qualcosa a riguardo, mi sono scoperta totalmente disarmata davanti a ciò che nell’articolo veniva detto. Subito, di primo impatto la mia reazione è stata quella di arrabbiarmi e di scandalizzarmi. Come può il cervello di un uomo concepire un omicidio in una maniera così spietata e fredda? Come si possono uccidere i propri genitori con l’aiuto del proprio migliore amico? Una sensazione di amarezza e di orrore verso questo mondo si stava facendo lentamente strada in me e subito il mio pensiero si è rivolto alla mia famiglia, ora lontana.

Mentre ero tutta presa nei miei pensieri e nella mia inquietudine che mi tenevano incollata al letto, ecco che entra nella stanza una mia coinquilina e vedendomi così silenziosa mi chiede cosa io abbia fatto. Le racconto dell’articolo e le chiedo con che coraggio si possa uccidere la propria famiglia. Perché anche io spesso litigo con i miei genitori, anche io spesso esclamo “basta non ne posso più”, eppure ho sempre avuto nei loro confronti un grande rispetto e soprattutto ora che vivo a Milano mi rende conto del bene che voglio loro nonostante le discussioni. Lei mi guarda e vedo che nel suo volto si fa largo un sorriso: “Pensa che grazia che hai avuto tu ,Eli, che non ti sarebbe mai venuto in mente di compiere un atto del genere, perché ai tuoi genitori vuoi bene”, mi dice. Poi aggiunge: “Ma ricordati quello che dice Tasso parlando di Clorinda “Virtù ch’or Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella“. La guardo stupita e incredula. Avevo bisogno della sua schiettezza e di un autore come Tasso per rendermene conto. Per capire che allora c’è speranza per tutti, anche per l’uomo più infimo sulla faccia della terra, anche per la famiglia dell’assassino, anche per Riccardo e Manuel.

Elisa Del Testa

Carissimi lettori,
le vostre lettere sono fin troppo chiare. Non aggiungerei altro. Mi limito e riferirvi quanto mi ha detto il lettore Vittorio Novelli di cui pubblico nell’edizione cartacea un brano di un lungo scritto, su una vicenda personale che dura da diversi anni. “Ora sappiamo tutto, ma non sappiamo fare più nulla. Un tempo non sapevamo nulla, ma sapevamo fare quasi di tutto”. Saggezza popolare che dice anche di tanti errori che a volte si compiono nelle famiglie, come ben descrive il professor Tallarico che ogni giorno è a contatto con centinaia di ragazzi.

Desidero sottolineare anche quanto scrive la giovane Elisa che ricorda a tutti una speranza possibile, “anche per l’uomo più infimo sulla faccia della terra”. Da non dimenticare mai, per nessuna ragione.

Saluti a voi.
Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

Pubblicato giovedì 19 Gennaio 2017 alle 00:01

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