Commento al Vangelo – II domenica di Avvento – Anno A

Mettiamo al centro il rapporto con il Signore

Domenica 4 dicembre (Anno A) – 2ª Domenica di Avvento
Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12

Come lo scalpello nella pietra, le parole di Giovanni – rivolte a tutti – dicono cosa e come: convertirsi è dare buoni frutti: fare il proprio dovere con serietà e onestamente, spartire e non accaparrare, pregare e dividere il pane. Giovanni precede il Signore per prepararci il cuore a riconoscere i grandi segni di Gesù. A sua volta Giovanni è preceduto dalla parola del profeta Isaia.

L’Avvento è immersione in questa corrente profetica e sapienziale che risana la memoria e porta la grazia di vedere il Signore in ogni persona e in ogni fatto della giornata. Anche nel terreno arido del deserto spunta il frutto della parola perché, con la nascita di Gesù, si è avvicinato il Regno dei Cieli che consiste nella nostra adozione a figli. La gioia è la prima parola portata da Giovanni attraverso l’imperativo di Isaia: “Consolate il mio popolo”. E la speranza raggiunge tutti quelli che, arrivando da Gerusalemme e dalla regione intorno al Giordano per essere battezzati, confessano i peccati come per una grazia che viene dall’alto.

Il deserto non è il luogo dell’aridità e del pericolo nascosto, ma dell’incontro dove lo sposo parla al cuore dell’amata per riportarla verso la terra promessa. Andare verso Giovanni, attirati dalle parole profetiche è spostarci dal nostro centro per rimettere al centro il mistero divino; non più noi al centro, ma il rapporto di comunione col Signore. Questa non è semplicemente una buona azione, ma una vera resurrezione perché la solitudine dell’egoismo è la situazione di chi dice di essere vivo e in realtà non lo è. Muoversi verso la comunione è muoversi verso la vita. Questo è il vero frutto degno di conversione.

Tempo di Avvento, tempo di voci nel deserto, tempo di incontro/scontro fra la severità del giudizio e la misura infinita della misericordia di Dio. L’“infatti” riferito a Giovanni è conferma delle Scritture; tutto è compimento e pienezza di senso. Il fiume Giordano è anche un simbolo. Nel suo corso, forma due mari: il mare di Galilea e il mar Morto, ma mentre il mare di Galilea è un mare brulicante di vita e tra le acque più pescose della terra, il mar Morto è, appunto un mare “morto”, non c’è traccia di vita in esso e intorno ad esso, solo salsedine. Eppure si tratta della stessa acqua del Giordano.

La spiegazione, almeno in parte, è questa: il mare di Galilea riceve le acque del Giordano, ma non le trattiene per sé, le fa defluire in modo che esse possano irrigare tutta la valle del Giordano. Il mar Morto riceve le acque del Giordano e le trattiene per sé, non ha emissari, da esso non esce una goccia d’acqua. Lo faceva notare, qualche anno fa, padre Raniero Cantalamessa, predicatore pontificio. “Non possiamo limitarci a ricevere amore, dobbiamo anche donarlo”. Ecco un altro vero frutto buono della conversione.

Angelo Sceppacerca

Pubblicato giovedì 1 Dicembre 2016 alle 00:01

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