Don Bissoni è rientrato dopo mezzo secolo in America Latina

È rientrato la scorsa settimana, dopo oltre mezzo secolo di missione in America latina, don Giorgio Bissoni. Nato a Longiano il 12 maggio 1940 e qui ordinato sacerdote il 28 giugno 1964, dal 1965 al 1975 è stato missionario “fidei donum” in Colombia e dal 1975 ai giorni scorsi in Venezuela, presso la parrocchia “San Rafael” di Playa Grande, nella diocesi di Carupano.

Qui è entrato ufficialmente nel Guinness dei primati con le sue 33 ore di celebrazioni continue, celebrando Messa di cappella in cappella il 7 e l’8 settembre scorsi, in occasione della festa della “Virgen del Valle”.

Don Bissoni è stato chiamato ora a guidare la sua parrocchia natale di Longiano. Lo accompagnano per alcune settimane tre parrocchiani di Playa Grande.

Don Giorgio, che cosa ha lasciato in Venezuela?

In Venezuela ho lasciato tutta la mia vita sacerdotale. La mia terra ormai è l’America latina, non l’Italia. Come la Chiesa di Cesena anni fa mi mandò in missione in America, ora è la Chiesa del Venezuela che mi manda in missione in Italia. Desidererei che qua mi accogliessero e mi rispettassero come missionario che vuole testimoniare un modo diverso di svolgere la vita cristiana.

In che situazione versa attualmente il Paese?

La situazione economica e sociale è drammatica. Il regime non ha dato risposte ai problemi, ma li ha aggravati. Il Venezuela non è un paese povero. È vero che il prezzo del greggio è in discesa, ma le risorse per mantenersi ci sarebbero. Terreni e ricchezze minerarie non mancano. Non si è saputo utilizzare le risorse che già ci sono. L’economia socialista non ha funzionato. Mancano medicine e alimenti. Non si trova da mangiare, se non alla borsa alimentare dello Stato o al mercato nero. La situazione mette in luce la scarsa influenza della Chiesa nel formare persone oneste in campo sociale.

Quali sono i frutti di oltre mezzo secolo di missione?

Non sono mai stato solo. Ho sempre sentito la vicinanza della chiesa cesenate. Grazie a questo appoggio, ho formato sacerdoti e persone che danno una bella testimonianza di vita cristiana. Sono state realizzate anche alcune strutture: scuole, cappelle, un centro medico, un centro di formazione integrale e la casa della carità “Sant’Anna” a Carupano.

Cosa ha voluto dire lasciare la missione dopo tanti anni di servizio? A chi lascia la sua “eredità”?

È stato faticoso sia per me, sia per i parrocchiani. La gente sente la difficoltà di continuare nell’impegno senza la mia presenza, ma c’è la consapevolezza di un mio invio missionario in Italia, non di un abbandono. La parrocchia di San Rafael è ora guidata da don Derno Giorgetti, aiutato da un sacerdote locale, padre Jorge, e da un gruppo di suore clarisse francescane missionarie del Santissimo Sacramento. È importante che, con la mia partenza, l’impegno missionario della diocesi di Cesena-Sarsina non si riduca. Data la situazione economica, anche un aiuto materiale va tenuto in conto.

Ci spiega il significato di essere inviato in missione in Italia?

Significa aiutare e accompagnare il cammino di una comunità, la quale è chiamata ad accettare proposte nuove. Deve esserci un impegno reciproco ad adattarsi. È un’occasione per approfondire il rapporto di comunione fra la Chiesa che mi invia e quella che mi accoglie. Significa accogliere l’invito che da tempo arriva dal Papa al rinnovamento dell’annuncio del Vangelo.

Matteo Venturi

Pubblicato giovedì 13 Ottobre 2016 alle 00:01

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