A colloquio col vescovo Douglas in apertura dell’anno pastorale

di Francesco Zanotti

All’avvio del nuovo anno pastorale abbiamo posto diverse domande al vescovo Douglas. Numerosi i temi trattati: dalla scelta preferenziale per i poveri alla visita pastorale, dall’Anno Santo della Misericordia alla Chiesa in uscita, dalla diminuzione del numero dei sacerdoti al buon drappello di seminaristi. Monsignor Regattieri non si è sottratto a nessun argomento.

“Abbiamo un tesoro in vasi di creta – educare alla fede nella fragilità” è il tema del nuovo anno che indica la bellezza di quanto la comunità cristiana vive e anche la difficoltà che si incontra in un mondo che appare in direzione opposta. “Il Papa ci invita a essere costruttori di ponti”, ricorda il presule nell’ampio colloquio che segue.

Eccellenza, si parte con un nuovo anno pastorale dedicato alla fragilità umana. “Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta. Educare alla fede nella fragilità”, questo il titolo scelto per il 2016-2017. Che significato può avere e su che strade ci dobbiamo incamminare visto il tema così in prima linea, ma anche così vasto?

Col tema della fragilità abbiamo voluto riprendere uno degli ambiti del Convegno di Verona (Il Convegno si svolse a metà del decennio 2000-2010 a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006). Tema portante di quel Convegno fu la cosiddetta questione antropologica, sempre più legata alla questione sociale. La domanda di fondo verteva attorno alla possibilità per i cristiani italiani di quale servizio offrire al Paese in quanto testimoni di speranza, quanto e come incidere ed essere presenti nel tessuto della società. Tale testimonianza cristiana si sviluppava nelle cinque grandi aree dell’esperienza personale e sociale, chiamate “i cinque ambiti”. Essi furono la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione, la cittadinanza. E’ indubbia la valenza antropologica di questa impostazione. Abbiamo ritenuto giusto e fecondo riprendere queste tematiche (ogni anno del prossimo quinquennio 2016- 2021 metteremo a fuoco un ambito), perché ognuno di essi interpella tutti: credenti o non credenti. Oggi la questione antropologica (chi è l’uomo?) rimane in tutta la sua drammaticità. Il Convegno di Firenze, successivo a quello di Verona, a metà del nuovo decennio 2010-2020, svoltosi a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015 col titolo: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, ha continuato e approfondito la riflessione sull’uomo, svelando che la sua autentica identità sta nell’incarnare nella sua vita le tre caratteristiche dell’Uomo nuovo, che è Gesù Cristo: umiltà, disinteresse e beatitudine-gioia dentro le cinque vie della Chiesa: uscire, annunciare, educare, abitare e trasfigurare.

La scelta preferenziale dei poveri e degli ultimi come viene vissuta in diocesi di Cesena-Sarsina?

Direi che possiamo considerare tre livelli di attuazione di questa opzione preferenziale che papa Francesco fa sua nella Evangelii gaudium, (n. 198), ma che risale, come sappiamo, a san Giovanni Paolo II (Sollicitudo rei socialis, n. 42). E ancor prima al Concilio. Ricordo un radio messaggio di san Giovanni XXIII, alla vigilia del Concilio: “La Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. Il primo livello è quello personale. Ogni credente si misura e deve misurarsi coi poveri: di casa sua, dei vicini, della sua comunità, del paese e anche del mondo intero. Ci sono a questo livello iniziative che possiamo dire eroiche. Penso ai sacerdoti, religiosi e laici che anche dalla nostra diocesi sono partiti e si spendono per i poveri in diverse parti del mondo. E’ il martirio della carità, del dono di sé… che ci interroga molto. Segue il livello delle comunità cristiane (parrocchie, associazioni e movimenti). C’è ancora molto da fare; tuttavia ci sono segni e gesti molto belli e concreti di attenzione agli ultimi. Penso in questo momento al problema dei profughi. Ho visto tanta disponibilità dei nostri cristiani a collaborare anche con le istituzioni nell’accoglienza. E penso adesso a quello che potremo fare per i fratelli terremotati. C’è infine il livello diocesano. Ho per questo a disposizione una struttura, un organismo che è la Caritas diocesana, la quale nelle sue ramificazioni più periferiche (parrocchiale, unità e zona pastorale) cerca di dare risposte ai bisogni di tanti fratelli. Abbiamo dato alla Caritas anche una struttura ’fisica’ più adeguata per assolvere ai suoi compiti. Ma soprattutto ho apportato alcune novità nel suo organigramma, proprio per renderla più capillare sul territorio: è l’istituzione delle diaconie della carità. Su questo pubblicherò una nota pastorale durante il prossimo anno (forse in Quaresima) che ne delinea l’identità e la missione.

L’Anno Santo della Misericordia è stato ed è ancora un momento propizio per il ritorno di tanti alla fede? Come è stato vissuto il sacramento della riconciliazione? Che riscontri ha avuto dai sacerdoti e dalle chiese giubilari?

È difficile dire se è aumentato (o diminuito) il numero dei fedeli che sono tornati alla fede. La fede è una realtà così profonda, misteriosa e nascosta nei cuori degli uomini che non si può misurare. Certo si può dire se le persone sono aumentate di numero in chiesa. Ma è questo il criterio per dire che c’è più o meno fede? Penso di no. Tuttavia segnalo due fatti. Diversi confessori mi hanno detto che in quest’anno giubilare sono arrivate in confessionale persone che da anni non si confessavano e che lo facevano – molti – in forza di questo Papa. Al Monte – che è chiesa giubilare – mi diceva un monaco: abbiamo registrato molte più persone dell’anno scorso nel periodo che va dal 15 agosto all’8 settembre. Segnali postivi? Certamente. Tuttavia quando affrontiamo questo aspetto, non dobbiamo mai dimenticare che da noi l’80 per cento dei battezzati non si sente legato alla comunità cristiana. E questo è un problema grande. Specialmente in riferimento ai giovani! Nel quinquennio pastorale che iniziamo dovremmo sbilanciarci un po’ di più nelle attività più ‘missionarie’, anche qui da noi.

Papa Francesco invita appunto la Chiesa a uscire, a farsi prossima con tutti, a stare nelle periferie geografiche ed esistenziali. Come si traduce questo invito del Pontefice in diocesi? Quali gesti concreti sono stati messi in campo? La casa famiglia in episcopio e la canonica di Bagnile sono atti forti. E le parrocchie? Ci sono ancora tante canoniche vuote e inutilizzate. Che altro si potrebbe fare?

Per la prossimità alla gente, che è uno dei temi più presenti nelle linee pastorali di quest’anno e del prossimo quinquennio, indico l’iniziativa del Questionario. Si tratta di una iniziativa volta ad ascoltare la gente, raccogliere pareri, indicazioni, proposte su temi inerenti alla vita della nostra Chiesa locale. Lo stiamo predisponendo e nel corso dell’anno si farà. Poi non posso non fare leva sulla presenza/vicinanza dei pastori alla loro gente: benedizione delle case e non solo… Personalmente cercherò di vivere in questa prospettiva (come del resto ho cercato di fare per le altre zone pastorali) la Visita pastorale che farò alle parrocchie del mare dal prossimo novembre alla Pasqua del 2017. La nuova Caritas di cui ho già detto e le diaconie della carità sul territorio diocesano, sono un altro segno di questa prossimità. Ricordo anche la nuova mensa per i poveri recentemente aperta per la zona di Cesenatico (a Bagnarola). Poi abbiamo l’esperienza della canonica di Bagnile. Vorrei che altre parrocchie/canoniche si aprissero a questa accoglienza. Ma dobbiamo fare i conti anche con le nostre risorse economiche. Per accogliere non basta dire: riempite le canoniche vuote… Quali canoniche, dignitose e regolari per accogliere? Ristrutturiamo: ma conosciamo quali vincoli burocratici ci vengono imposti? Ma soprattutto con quali e quante risorse economiche (che non abbiamo) lo possiamo fare? Non vorrei ridurre il discorso al solo aspetto economico. C’è anche quello più relazionale, esistenziale e culturale riguardo all’accoglienza. Persiste – lo dobbiamo ammettere – ancora tanta diffidenza verso chi viene da fuori. Bisogna superare anche questo muro! La Chiesa credo che si stia spendendo molto nel parlare, nell’educare e nel sensibilizzare le coscienze. Non ci si può dire cristiani e tenere (o mettere) alla porta chi fugge dal suo paese per la guerra o la fame o chi non vive dignitosamente la sua vita per mancanza di cibo, di vestito, di casa e di lavoro!

Eccellenza, i giovani e la fede, tema a lei molto caro. Dopo il sinodo a loro dedicato che si muove nel territorio?

L’intento è di continuare coi giovani l’opera educativa e missionaria. Abbiamo le associazioni e i movimenti che sono una ricchezza e una bellissima realtà ecclesiale. Anche se minoritaria, la loro presenza è significativa. Non dobbiamo preoccuparci del numero. Piuttosto della qualità. Bisogna rendere i giovani forti e convinti della loro fede – pur nel cammino di crescita che li caratterizza -. Diventeranno nei loro luoghi (scuola, università, tempo libero, ecc..) testimoni credibili e ’trascinatori’. La prospettiva missionaria – così ci siamo detti nel Sinodo – dovrà coinvolgere ancora una volta i nostri giovani in una missione dei e per i giovani. Si vedrà cosa lo Spirito suggerirà.

Sia papa Benedetto che papa Francesco ricordano che la fede si trasmette per attrazione. Quale strada deve ancora percorrere la chiesa di Cesena-Sarsina su questo versante?

In un’omelia a santa Marta il Papa ha detto che attrazione vuol dire la bellezza della testimonianza. “E’ la testimonianza che il cristiano mette in atto ogni giorno che attrae nuovi cristiani, che rende prolifici. E’ questa la promessa di diventare un popolo fatta da Dio ad Abramo. Il cristiano deve parlare dritto al cuore delle persone, deve testimoniare la Parola, ma senza voler imporre la propria verità. Come San Paolo bisogna essere “costruttori di ponti” e non “costruttori di muri”. Benedetto XVI, in un testo diventato famoso, ha detto che nei primi tempi la Chiesa non aveva una strategia pastorale, organizzativa e programmatica circa l’evangelizzazione, ma semplicemente si faceva forte della testimonianza. A quel tempo era il martirio che parlava. Oggi le cose sono diverse. Tuttavia dobbiamo ritornare a mettere al primo posto – nel dinamismo missionario che quest’anno ci deve contraddistinguere – la nostra personale testimonianza di fede: essa si concretizza nell’amore fraterno, nella comunione ecclesiale, nella presenza significativa dentro le realtà di questo mondo. Uno strumento che è di aiuto a vivere la propria testimonianza di fede con continuità e perseveranza, è sentirsi parte viva di una comunità. Dunque, testimonianza personale, sì, ma sostenuta, custodita e rafforzata in un contesto comunitario. Da soli – ancora una volta ce lo dobbiamo dire – prima o poi si soccombe.

Una nuova casa per la curia e gli uffici diocesani. Una bella novità. Quali i vantaggi che potranno venire per tutti a servizio della Diocesi? Un investimento che avrà i suoi ritorni?

Tre vantaggi sono da rilevare circa questa operazione che giunge finalmente in porto dopo tanto tempo e tanto penare a causa del blocco del cantiere con annessa la sua vicenda giudiziaria. Il primo vantaggio è pastorale ed è il più importante. La sistemazione di tutti gli uffici in un unico edificio certamente favorirà un miglior coordinamento in ordine all’azione pastorale diocesana. Consapevoli però che non sono i muri a fare comunione, ma le persone. Tuttavia i muri possono favorire ed essere di aiuto. Questo è nelle nostre speranze. Il secondo è che il nuovo complesso della Curia vescovile lascia liberi alcuni spazi che possono essere utilizzati per altre finalità. In primis l’accoglienza della Casa-Famiglia in vescovado. E poi tutto il complesso di palazzo Ghini (piano terra e primo piano) diventerà sede dell’erigendo Museo diocesano di arte sacra. E terzo: la prossimità con la gente. Poiché il centro storico – come si sa – è sempre più inaccessibile – i nuovi locali – con i posti parcheggio che saranno a disposizione – potranno essere facilmente raggiungibili e accessibili al pubblico.

Tra poche settimane ci sarà un bel valzer di parroci. Quali i criteri che guidano il vescovo in queste scelte e come rispondono sacerdoti e comunità?

Non dico che questa operazione sia stata facile. C’è voluta molta pazienza e tanta fede e fiducia in Dio prima di tutto e anche nelle persone. Colgo l’occasione per ringraziare i confratelli sacerdoti che si sono resi disponibili. Cambiare è sempre un bene per sé e per la gente, specialmente se il trasferimento avviene dopo diversi anni. Anche se costa. Il distacco porta sempre con sé qualche ferita. Ma dobbiamo guardare con gli occhi della fede anche queste operazioni umane. Il bene dei fedeli, le esigenze dei sacerdoti, il bisogno di rinnovare, di smuovere un po’ le acque che rischiano dopo tanto tempo di ristagnare, sono tutti fattori ed elementi che concorrono a rendere possibile una qualche forma di rinnovamento. Devo dire che la visita pastorale, permettendomi di parlare con le persone e di vedere di persona le situazioni, è stata ed è determinante per queste scelte. Da ultimo sottolineo l’importanza del ruolo dei consiglieri del vescovo e dei suoi più stretti collaboratori.

Il seminario e i seminaristi. Una risorsa (viste le sei presenze) e un problema al tempo stesso, tenuto conto dei numeri risicati rispetto al reale bisogno. Quale sarà la parrocchia del futuro? I sacerdoti che vengono dall’estero come si integrano nel nostro contesto?

Il problema delle vocazioni sacerdotali è uno dei più urgenti e dolorosi. Considerato il passato non lontano ci colpisce molto vedere sempre più numerosi i sacerdoti anziani e pochi i giovani. E’ triste vedere chiese e canoniche chiuse per la mancanza del parroco non più residente. Credo che le strategie pastorali debbano concentrarsi di più su un’azione più sollecita del discernimento che i sacerdoti sono chiamati a fare coi giovani, sulla preghiera per le vocazioni più continua, sulla testimonianza personale (dei laici, dei sacerdoti e delle nostre comunità) che siano – come si diceva sopra – più attraenti, e su una strutturazione pastorale che solleciti un lavoro più in rete (tra parrocchie, unità e zona pastorale). E poi non andare in depressione per la situazione, ma continuare ad alimentare la speranza in Colui che guida la sua Chiesa, lo Spirito Santo e rafforzare la nostra gioia di aver incontrato Gesù (Cfr. Evangelii gaudium, 1). I sacerdoti stranieri – alcuni incardinati (n.7), altri fidei donum (n.7) -, sono poco più del 10 per cento del totale. Sono un aiuto e una risorsa. Tocca a noi aiutarli a integrarsi, con la stima e l’affetto, farli sentire parte viva del nostro presbiterio. Certamente anche loro devono fare uno sforzo di adattamento.

Eccellenza, tra poco lei riprenderà la visita pastorale. Ha già annunciato che appena terminata questa, ne avvierà subito un’altra. Perchè questa scelta? La gente che incontra cosa le manifesta, cosa le dice, le confida? Quali i bisogni più grandi incontrati? Quali le urgenze, le solitudini, le emergenze?

Terminata una visita se ne inizia un’altra, perché la visita è uno dei doveri più importanti del vescovo (Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, 220). Il magistero di papa Francesco mi ha stimolato molto nel modo di impostare e di vivere la visita. Essa si configura principalmente come uno stare con e vicino alla gente. Ai sacerdoti in primis. Ho scelto di non correre nel fare la visita, ma di dedicare tempo e spazio a tutti. La fretta è cattiva consigliera. La gente ha bisogno di essere ascoltata e di sentire vicino il pastore. È chiaro che la visita tocca soprattutto quel 10-15 per cento di praticanti. Ma ci sono anche momenti ’missionari’ molto belli che certamente lasciano tracce di bene. Penso alla visita nelle fabbriche, nelle scuole e soprattutto nelle case, dove si incontrano anche quelli che non vengono in Chiesa. Qui è importante lo stile più che la parola e i bei discorsi.

Da ultimo, chiesa e territorio. Come essere sale nella pasta e luce sul moggio? Non si corre il rischio di una fede intimista, che non incide nella vita, e la Chiesa non viene spesso scambiata per un ente di volontariato, un’associazione che si dovrebbe limitare alla cura dei poveri , ma poi deve tacere sulle scelte della vita concreta? La famiglia, la vita, la persona, il lavoro, il rispetto del creato, dell’ambiente in cui viviamo, solo per citare alcuni versanti caldissimi e di attacco a valori non solo cristiani, ma che attengono alla dignità umana.

La presenza sul territorio di persone indifferenti (più che contrarie) all’annuncio del Vangelo, immersi in un clima di totale secolarizzazione, invita noi credenti non a ingaggiare battaglie di contrapposizione o di difesa di chissà quale interesse. Richiede piuttosto una presenza che sia – come ho detto sopra – il più autenticamente cristiana possibile, all’insegna della gioia. Ci vogliono anche i documenti e le prese di posizione su singoli temi e problemi più emergenti (in questo la Chiesa non difetta certamente). Ma è più urgente, come dice il Papa nell’Evangelii gaudium, una presenza – forse anche silenziosa – ma premurosa verso tutti, una testimonianza che nulla ceda al compromesso col mondo o attenui le esigenze della propria fede, ma vada fino in fondo magari controcorrente e realizzi quanto san Pietro dice nella prima lettera: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo” (1Pt 3, 15-16). A questo proposito il n. 35 dell’Evangelii gaudium è chiaro e illuminante: “Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa”.

Pubblicato giovedì 22 Settembre 2016 alle 00:00

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