Le tre mostre allestite in città per il Congresso eucaristico diocesano

Un’occasione di riflessione, conoscenza e approfondimento: è questo l’intento delle tre mostre allestite all’interno del Congresso Eucaristico.

Due sono ospitate a Palazzo Ghini (periodo: 22- 29 maggio; orario: 9-12 / 16-19); la prima nel salone: «Oggi devo fermarmi a casa tua». L’Eucaristia, la grazia di un incontro imprevedibile; la seconda nella sala Madonna nera: I volti della misericordia. La terza è allestita nella chiesa di San Zenone (periodo: 22 maggio- 12 giugno; orario: 9-12 / 16-19): «O salutaris Hostia». Arredi per il culto eucaristico.

«Oggi devo fermarmi a casa tua».
L’Eucaristia, la grazia di un incontro imprevedibile

Mostra itinerante ideata da un’équipe guidata da Eugenio Dal Pane e prodotta da Itaca, propone in 36 pannelli un percorso articolato in quattro sezioni attraverso le quali emerge la radicale necessità che l’uomo ha dell’Eucaristia. Apre la serie l’episodio di Zaccheo, emblema dell’uomo curioso e desideroso di vedere Gesù: un incontro imprevedibile che gli cambia la vita. La prima sezione («Una smisurata indigenza») sviluppa il tema della fame e della sete dell’uomo, la sua smisurata indigenza cui solo Dio può dare risposta adeguata. Proprio mentre risponde ai bisogni elementari, Dio educa il suo popolo a ciò che costituisce la risposta piena al bisogno di sazietà: «Ti ha nutrito di manna […] per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3).

La seconda sezione («Io sono il pane della vita») è focalizzata sul vangelo di Giovanni 6. Gesù ha compassione del bisogno dell’uomo, moltiplica i pani e i pesci, ma ciò non basta: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. […] Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,35.55-56).

La terza sezione («Signore, da chi andremo?») interpella la libertà dell’uomo, sfidata dal quesito che Gesù pone ai suoi («Volete andarvene anche voi?») e rinfrancata dalla risposta di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Gv 6,67-68). Nella quotidianità della sua vita l’uomo deve scegliere: mettere al centro sé e accontentarsi dei pani e dei pesci, oppure ospitare la presenza di Gesù e rimanergli attaccato.

Di qui scaturisce la supplica che domina la quarta sezione («Il dono permane») e che dà corpo al cuore della mostra: «Rimani con noi, Signore!». Gesù permane nella Chiesa, si dona nel sacramento dell’Eucaristia e continua a ripetere ad ogni uomo: «Oggi devo venire a casa tua!». Un invito che rende viva e presente la stessa grazia che ridestò e rinnovò la vita di Zaccheo.

I volti della misericordia

Partendo dall’origine storica del Giubileo, la mostra – curata da padre Antonio Sangalli dei Carmelitani scalzi e realizzata dal Meeting di Rimini – affronta, in 18 pannelli, il tema della Misericordia, parola derivante dal latino misericors (aggettivo miser, misero, più corcordis, cuore) e da misereor (avere pietà).

Nella Dives in misericordia san Giovanni Paolo II spiega in un passaggio quanto la nostra società ne sia refrattaria: «La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia». Ecco perché di fronte al male spesso si assumono atteggiamenti di disprezzo o di vendetta.

La misericordia è vista o come debolezza o come una sorta di concessione immeritata per chi sbaglia. Invece la misericordia innanzitutto è qualità propria di Dio, ed essendo Egli infinito, infinita è la sua misericordia: «Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono» (Salmo 103,11).

Dio ama senza misure. Il segno più grande della sua misericordia è l’aver donato suo figlio Gesù Cristo, venuto con la sua vita a sanare definitivamente il limite umano. Chi partecipa dell’amore del Padre è capace di misericordia con gli altri uomini, come riflesso e prolungamento della misericordia di Dio.

Ogni cristiano ha una vocazione alla misericordia, che la Chiesa ha cercato nei secoli di educare tramite le “opere di misericordia corporale e spirituale”, richieste da Gesù per trovare misericordia, ossia perdono per i nostri peccati, ed entrare nel suo Regno (Mt 25). Quasi inverando le parole del profeta Isaia (“Lo Spirito del Signore è sopra di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore”: Is 61,1-2), Luca può scrivere: «Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono […] ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1,50.54).

L’esposizione mostra i volti nei quali si è più manifestata la misericordia stessa; si potrà approfondire e riscoprire il volto di Gesù e della Madonna passando attraverso le vite di alcuni particolari santi e il loro ruolo di continuatori di opere di misericordia. Propone alcuni episodi storici significativi di conversione e perdono di peccatori. Questi episodi sono stati e sono ancora oggi un’occasione per comprendere il significato cristiano di giustizia e di perdono.

Uno sguardo sull’altro quasi “sovversivo” rispetto a quello che l’uomo contemporaneo cerca di realizzare. Ecco allora san Dismas, il buon ladrone, e san Girolamo, le sante Caterina da Siena e Teresa di Gesù (d’Avila), i beati Luigi e Zelia Martin, santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (di Lisieux), la beata Elisabetta della Trinità e santa Maria Faustina Kowalska; ma anche Jacques Fesch e Pietro Maso. Sono alcuni volti di quella misericordia che papa Francesco nella Bolla Misericordiae vultus descrive con queste parole: «È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono» (n. 6).

«O salutaris Hostia»
Arredi per il culto eucaristico

«O salutaris hostia, / quæ cæli pandis ostium: / bella premunt hostilia, / da robur, fer auxilium. // Uni trinoque Domino / sit sempiterna gloria: / qui vitam sine termino / nobis donet in patria» («O ostia di salvezza, che apri le porte del cielo, le armi nemiche ci opprimono, dà a noi forza e aiuto. All’unico e trino Dio sia gloria sempiterna, che doni a noi, nella patria, la vita senza termine»). Questo celebre testo eucaristico è tratto dall’inno Verbum supernum prodiens («Il Verbo disceso dal cielo») – ultime due strofe – e fu composto da san Tommaso d’Aquino (Roccasecca, Frosinone, 1225 – Fossanova, Latina, 1274) per le Lodi del Corpus Domini, la solennità istituita a Orvieto da papa Urbano IV (1261-1264) con la bolla Transiturus de hoc mundo dell’11 agosto 1264, sull’onda del miracolo eucaristico di Bolsena avvenuto l’anno precedente; il pontefice aveva infatti incaricato l’Aquinate di comporre l’officio della solennità e della messa del Corpus et Sanguis Domini. Nasceva così una delle forme più celebri, solenni e popolari del culto eucaristico, che avrebbe marcato il calendario liturgico e la vita della Chiesa, sino ai nostri giorni (con le riforme postconciliari e i mutamenti connessi).

La processione del Corpus Domini e l’adorazione delle Quarantore (che abbiamo storicamente illustrato nel «Corriere Cesenate» del 5 maggio scorso) hanno segnato la vita cristiana delle nostre parrocchie e comunità, ma anche la storia dell’arredo liturgico: al quale si devono usi capaci di tradurre in forme d’arte e artigianato la devozione del popolo e la fede della gente. Il Vaticano II, con l’Istruzione Eucharisticum mysterium, ha inteso ricondurre l’esposizione a uno stretto rapporto con la Celebrazione eucaristica: in tal modo incidendo sull’utilizzo di arredi ieri molto impiegati e ricercati, oggi assai meno (se non più in uso).

Abbiamo così pensato di esporre una piccola ma significativa selezione di oggetti connessi all’esposizione, all’adorazione e alla conservazione eucaristica: tronetto (o trono), postergale, ostensorio, pisside, turibolo, navicella, urna (o repositorio) per la custodia nel triduo santo, ombrellino processionale. Arredi e oggetti capaci di richiamare e veicolare, con la loro visibile e inconfondibile solennità, la nozione stessa di sacralità; e così decodificare forma e significato di alcuni fra i tanti ’santi segni’. Il vescovo Douglas inaugura le mostre sabato 21 maggio alle 11.

Marino Mengozzi

Pubblicato giovedì 19 Maggio 2016 alle 00:01

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