La Resistenza, il 25 aprile e la strage della Rocca. Le repliche dei lettori alla lettera di Roberto Casalini

Carissimo Francesco,
nella tua risposta a Roberto Casalini, pubblicata la scorsa settimana, sei troppo gentile e diplomatico. Casalini (che per altre cose è simpatico e amabile) questa volta (ma non è la prima) si è lasciato andare alla deriva ideologica, mascherando male un certo nervosismo su questioni ancora aperte, almeno qui da noi.

Certe questioni si chiudono chiedendo perdono. Per gli sbagli ideologici della Chiesa l’hanno fatto diverse volte i Papi. Per gli sbagli delle altre ideologie, mai nessuno.

Se il prof. Casalini si sente di rappresentare la Resistenza, allora chieda lui perdono degli errori e degli eccessi che la Resistenza fece (certo per eccesso di zelo e per tempo di guerra): a meno che lui non giustifichi quei fatti come parte integrante di un’azione di Resistenza. Come dire che la giustizia ammette e, a volte richiede, la vendetta.

don Paolo Pasolini

Carissimo direttore,
un’efficace risposta a Casalini sarebbe pubblicare il martirio di Rolando Rivi nei minimi particolari… e dei preti e dei poveracci uccisi senza motivo soprattutto nella nostra regione. Con amici andammo dal beato a fare un pellegrinaggio alcuni mesi fa. È pazzesco che ancora tra i discendenti dei partigiani regni tanta omertà.

Anna M. – Cesena

Carissimo Francesco,
ti scrivo quello che mi ha detto un mio amico credente, molto attento alla storia, dopo aver preso atto della lettera di Roberto Casalini pubblicata la scorsa settimana.

“Casalini è fermo al 1950. Non riesce a rendersi conto che la Resistenza non era solo quel comunismo che lottava per la liberazione, ma era impegnato anche per instaurare una dittatura sovietica. E lui lo sa molto bene. Ma non può capire e ammettere che tantissimi sono stati gli uccisi per vendetta, per idee diverse o per motivi di fede, anche dopo il 25 aprile. Loro, i comunisti, si sono sempre considerati puri e superiori a tutti. Casalini si legga i libri di Pansa. E fra i tanti morti, anche gli ammazzati alla Rocca di Cesena”.

Un affezionato lettore del Corriere Cesenate

Egregio direttore,
le scrivo a proposito del suo editoriale del 28 aprile sulla liberazione dai pesi del passato. Editoriale con il quale ricordava che nessuna memoria, nessuna targa riporta i morti ammazzati nella prigione della Rocca nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1945. Per quel buco da colmare, come lei sostiene, aggiungerei non solo quelli della Rocca, bensì qualche altro, quello che mi viene in mente e che sta molto a cuore, credo a tutti (religiosi, laici, ecc…).

In quella toppa aggiungerei il seminarista Rolando Rivi, in odore di santità, ammazzato strada facendo dal seminario per recarsi a casa. Un giovanetto ucciso solo perché portava la tonaca. Come lei riporta nell’editoriale, ossia di non fare distinzioni e di superare queste barriere, non può non esimersi dal condividere l’affetto e il rispetto per un giovane martire (perito senza alcuna colpa) e peraltro ingiustamente dimenticato. La saluto con molta stima.

Francesco Norma (Gatteo)

Caro direttore,
ho letto con tanto interesse il fondo con il quale presentavi il n. 17 del 28 aprile 2016 del tuo giornale. Devo sottolineare la assoluta coincidenza di temi e motivazioni riguardanti avvenimenti di storia locale quale quelli dell’8 e 9 maggio 1945. L’eccidio della Rocca non fu purtroppo un caso isolato, ma l’emblema di una considerazione della guerra partigiana tendente a eliminare, con la violenza, tutti coloro che non condividevano una certa idea politica; tutti coloro i quali si sarebbero opposti alla costituzione in Italia di una repubblica popolare così come era avvenuto o avverrà nel corso dei mesi successivi del 1945 e del 1946 in molti Paesi d’Europa.

Non a caso, è bene ricordarlo, il fatto portò ad una crisi lacerante lo stesso Cln. Il presidente del quale, Antonio Manuzzi, presentò le dimissioni che sarebbero state irrevocabili se non si fosse convenuto sul principio che l’ordine pubblico e la legalità non fossero tornati in capo a chi poteva garantirli, senza ricorrere a metodi brutali e violenti. Il fatto che la posizione di Manuzzi sia stata accolta, la dice lunga sulla volontà della stragrande maggioranza delle forze politiche di rifiutare la violenza e di rientrare nella normalità democratica.

I violenti venivano dunque emarginati, e ciò non significava la abiura dei valori esistenziali, ma la loro sublimazione. La democrazia trionfava. Fa dunque specie la filippica di Casalini. Quella sì stonata, se non addirittura offensiva.

Mario Guidazzi


Carissimi tutti,
non starò qui a dire delle telefonate, delle email e dei messaggi ricevuti dopo la pubblicazione, nel numero scorso, della lettera di Roberto Casalini. Ringrazio per l’amicizia e l’affetto dimostrati.

Carmen Cantarelli, originaria di Ranchio di Sarsina, mi ha fatto avere il suo libro “Ranchio 1944 nelle retrovie della Linea gotica – La storia e le memorie”, pubblicato con “Il Ponte Vecchio” di Casalini. Nel volume sono contenute testimonianze dirette su come si svolsero certi tragici fatti di quei tempi.

Come risposta, mi affido a quanto mi ha consegnato in redazione il diacono Gino Della Vittoria. Le sue parole e la sua poesia valgono più di qualsiasi altro commento. “La coipa” è tratta dal volume “Int un ènt sid” (editrice “Il Ponte Vecchio”, 1998).

Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

Caro Francesco,
ti chiedo la cortesia di ospitare alcune considerazioni che mi sono venute leggendo la lettera di Roberto Casalini al Corriere, sul 25 aprile. Mi rivolgo a lui.

Caro Roberto, credo che nessuno, onestamente, possa misconoscere il valore della Resistenza e il contributo dato dai partigiani alla liberazione della nostra terra dalla dominazione interna ed esterna al Paese, non solo per la lotta armata, ma anche per quello che ha significato nella riaffermazione della dignità di un popolo schiavizzato ma non domo. Credo però non sia mai cosa buona mitizzare: ogni medaglia può avere un verso splendente e uno oscuro. La verità va detta tutt’intera: non può esserci verità parziale perché non sarebbe verità. Come ciascuno non può dire veramente a se stesso di non aver sbagliato nulla nella sua vita, così credo accada negli avvenimenti umani. E la possibilità di pace nasce dalla capacità di tutti di fare la verità. Di qui il perdono.

Tu Roberto conosci, per averlo pubblicato, uno dei rovesci della medaglia di cui parliamo che ho descritto nella poesia “La coipa” qui allegata. Io credo così: nella verità, la pace e il perdono. È da qui che ci si scopre fratelli. Con la grande stima e l’affetto fraterno che ti porto, ti invio il bel saluto francescano: pace e bene.

Gino Della Vittoria

LA COIPA

Lo u n n’n’eva coipa
se i tedesch ij n’aveva mazzè dis pucsia:
tri oman, du burdel, quatar mami e un ragaztin;
l’era la guera
e quant l’era passè un tedesch,
da ’ddria la seva
u i eva dè int la schina una s-ciupteda
ch’ u l’aveva lassè sec.
L’era un eroe, lo.
Pre e’ rest,
lo u n’n’eva coipa.
(Però l’era cuntent, tot al mateni,
ad putes svigè d’ arnov
par cazzè via agli ombri).

La colpa – Lui non ne aveva colpa / se i tedeschi ne avevano ammazzati dieci purchessia: / tre uomini, due bambini, quattro mamme e un ragazzino; / era la guerra / e quando era passato un tedesco, / da dietro la siepe gli aveva dato una schioppettata nella schiena / che l’aveva lasciato secco. / Era un eroe, lui. // Per il resto, lui non aveva colpa. // (Però era contento, ogni mattina, di potersi svegliare di nuovo / per cacciar via le ombre).

Pubblicato giovedì 12 Maggio 2016 alle 00:00

Una risposta a “La Resistenza, il 25 aprile e la strage della Rocca. Le repliche dei lettori alla lettera di Roberto Casalini”

Commenti

  1. Gianluca 16 Mag 2016 / 14:00

    Caro direttore,
    Pur non condividendo il tono sprezzante della lettera Di Roberto Casalini, pur ritenendo necessario è doveroso il ricordo Anche dei morti Dimenticati, Non mi è sembrato corretto inserire il ricordo Di queste persone Trucidate, nel contesto della Festa della Liberazione.
    I valori della Resistenza che si celebrano durante questa festa Non devono e non possono essere oscurati da questi fatti tragici Che pur ci sono stati e non possono essere messi a tacere. Con affetto, Gianluca perugini

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