Editoria al bivio: cultura digitale, umanità digitale

“Let’s move for a better world”, muoviti per un mondo migliore. È lo slogan Technogym, l’azienda cesenate leader nel mondo delle soluzioni Fitness e Wellness. Ha ospitato, giovedì 21 aprile, il consiglio nazionale straordinario della Fisc, la Federazione Italiana Settimanali Cattolici, che riunisce 190 periodici diocesani per una tiratura di un milione di copie circa ogni sette giorni.

Un motto che potrebbe essere declinato anche nel mondo dell’editoria, anche quella cattolica, attraversato da una serie di cambiamenti epocali e dunque di sfide da cogliere e di nuovi ambienti da abitare.

Scrivere, raccontare, ascoltare, dar voce a chi non ce l’ha, per un mondo migliore. Che è un po’ la mission dei comunicatori cattolici, l’informazione a servizio della chiesa e della gente, per dirla con uno slogan caro al mondo Fisc. Una mission inscindibile dal territorio, luogo ‘privilegiato’ dei settimanali diocesani, radicati in un ambiente ben preciso.

Ha aperto i lavori Francesco Zanotti, presidente della Fisc e direttore del Corriere Cesenate che, partendo dal libro di Nerio Alessandri, patron di Technogym, ha fatto ’suoi’ alcuni insegnamenti utili anche agli operatori della comunicazione. “’Le idee vincenti nascono dalle difficoltà’. ’Quando una cosa ha successo è già obsoleta’. ’Non dimenticare le proprie origini, da dove si è partiti’. ’Ogni giorno è come se fosse il primo’. ‘Forte senso di responsabilità’, che per noi significa ricordare che ogni parola può uccidere. ’Curare i particolari’, quindi fare un giornale senza errori, farlo in maniera ottimale”.

Nel corso della giornata circa 100 giornalisti tra consiglieri Fisc, direttori dei settimanali, amministratori e collaboratori si sono confrontati sulle tematiche inerenti il futuro della stampa cattolica tra crisi e nuove opportunità. Tanti gli spunti e le proposte emerse, anche in seguito alle provocazioni offerte dai relatori.

Massimiliano Padula, presidente Aiart (Associazione italiana ascoltatori radio e televisione) e docente all’Università Lateranense, ha interrogato la platea: “Quale futuro per i nostri giornali quando uno youtuber o un account Twitter possono fare informazione e opinione in modo più incisivo di noi, e quando la variabile temporale è tutta sbilanciata sul presente?”. Tutti, sembrerebbe dire il professore, si trovano in qualche modo toccati dai media. “Con la cultura digitale l’umanità tutta diventa mediale. Costruiamo la nostra identità anche attraverso i media, dunque si afferma il concetto di umanità mediale cioè l’insieme di uomini che a un certo punto si trovano a coesistere coi i media”. In una realtà dove l’uomo è il medium e dove la proiezione è sul minuto o sul secondo “ha ancora senso parlare dei nostri settimanali a patto che questi intercettino le conseguenze inattese che possono minare la stabilità del settimanale stesso, ristabilendo un legame forte con gli elementi di identità, spazio e tempo. Una chiave è l’educazione, la formazione”. “Se i media siamo noi – ha concluso Padula – è necessario condurre il giornalista a una presa di coscienza delle proprie capacità superiori adottando comportamenti essenziali quali l’etica professionale, la libertà di opinione, la ricerca della verità”.

Un modo innovativo di fare impresa editoriale. È il mensile Vita, di cui ha parlato Riccardo Bonacina che ne è anche presidente e direttore. “Si tratta di un’avventura editoriale particolare perché nasce da una spinta arrivata dal basso, da alcune associazioni non profit e dal loro desiderio di avere un giornale e quindi di creare cultura”. Il mensile ha un comitato editoriale, “organismo vivo e stimolo per tante battaglie”. Le annate che hanno segnato il passo sono due: il 2000 quando è stato chiesto alle associazioni del Comitato editoriale di entrare nell’azionariato, “un apporto non più solo di idee ma anche di capitale”, e il 2010 quando Vita è stata quotata in Borsa, “perché avevamo bisogno di risorse”. Non era scontato che la Borsa quotasse una società che non distribuiva dividendi. “Una scelta dettata dal fatto che volevamo crescere. Potevamo andare dalle banche a reperire i fondi, ma l’idea non ci piaceva perché volevamo rimanere indipendenti. Una società editoriale deve essere indipendente e senza scopo di lucro”. Una realtà multimediale ben presente anche sul web, oltre al giornale cartaceo, e dove il 30 per cento del fatturato viene fatto attraverso l’organizzazione di eventi.

Una concreta sollecitazione è arrivata da don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali e sottosegretario della Cei che ha lanciato la proposta di “sederci insieme per provare a elaborare qualche proposta”. “Questo è un tempo povero di idee – ha detto -. Proviamo a trovarci e diamo voce a quello che abbiamo dentro, interroghiamoci su un futuro che è già qui. Portiamo sul tavolo dei nostri vescovi delle proposte chiare. Facendo capire che tagliando sulla comunicazione si corre il rischio di diventare afoni”.

Un impegno intercettato anche da diversi giornalisti che ne hanno subito appoggiato la bontà tra cui anche il direttore dell’agenzia Sir, Domenico Delle Foglie che ha sottolineato “la necessità di sinergie e sussidiarietà”. “La dimensione di prossimità data dai settimanali diocesani – ha continuato – ci rende vincenti anche sul ’nazionale’. Nessuno meglio di noi può raccontare i territori. La dimensione di comunità sociale può essere una chiave per aggregare consensi nuovi”.

Sul tema dell’8×1000 si è soffermato Matteo Calabresi, direttore del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa che non ha risparmiato una tirata di orecchie al mondo dei settimanali cattolici. “Il sostegno all’8×1000 deve essere riconfermato ogni anno. Non è più una firma di appartenenza, ma di giudizio verso la Chiesa cattolica”, ha detto Calabresi che poi ha sottolineato un aspetto importante: “Nel 2016 sui fondi bisogna essere trasparenti. La gente vuole sapere le cifre. I bilanci devono essere comunicati, non solo pubblicati. Non basta più usare i fondi dell’8×1000 a fin di bene, ma è necessario utilizzarli con trasparenza”. Questi “sono diventati un vero e proprio ammortizzatore sociale. Ecco perché il calo che si è registrato non è preoccupante in sé, ma preoccupante è il disinteresse che vi regna intorno. Per esempio, il concorso “8×1000 senza frontiere” che premia il miglior articolo sulle opere territoriali nate proprio da quei fondi, è poco partecipato dai settimanali cattolici. Come Chiesa dovremmo fare tutti rete ed essere più consapevoli dell’importanza di questi fondi. Si tratta di migliaia di interventi della Chiesa che va incontro ai bisogni della gente”.

Michela Mosconi

Pubblicato giovedì 28 Aprile 2016 alle 00:00

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