La morte non ha colore

di Francesco Zanotti

Ho letto con attenzione i quotidiani locali del 26 aprile. Ho cercato nelle cronache relative alle celebrazioni della giornata che ricorda la Liberazione una citazione che mi pare di non avere trovato. Ho sfogliato e risfogliato. Ho anche sperato di scovare tracce di un episodio che non fa onore alla nostra città. Ho capito ancora una volta, dopo i diversi tentativi fatti negli anni da queste colonne, che non si riesce a ricordare tutti i morti di una stagione difficile da metabolizzare, analizzare e ricordare.

Intendiamoci bene: nessuno desidera sminuire ciò che accadde durante i giorni e i mesi dell’occupazione tedesca. E anche quello che i partigiani e coloro che ad essi si affiancarono fecero per liberare la Romagna e l’Italia dall’invasione tedesca. Ciò non toglie, comunque, che a distanza di tanti anni non si possa fare menzione pubblica di chi fu ucciso senza apparente motivo e in circostanze ancora tutte da chiarire.

Spero che qualche lettore abbia compreso a quale episodio mi riferisco. Da tempo lo riprendo. Da anni ne chiedo un ricordo, una memoria, anche e soprattutto per i parenti ai quali viene escluso questo gesto pubblico. Non si possono catalogare le morti in base al colore. Lo abbiamo scritto, detto e lo ripetiamo. I morti ammazzati nelle prigioni della Rocca nella notte fra l’8 e il 9 maggio 1945 sono un buco nero nella nostra memoria collettiva. Un vuoto che va colmato per giustizia e a futura memoria.

Non se ne può parlare, continua a dirmi un amico che non riesce a darsi pace per questa ingiusta discriminazione. “Niente di niente, nessuna novità. Zero assoluto. Se ne parlava anche pochi giorni fa tra noi, in famiglia, vista la data del 25 aprile. Se torni in argomento, direttore, ti ringrazio”.

E certo che ci torno. “La città di Cesena pare avere deciso per l’oblio”, scrissi nel maggio di sei anni fa, dopo l’ennesimo tentativo e la richiesta di un’iscrizione, una targa per ricordare alle future generazioni “che l’odio non porta da nessuna parte e che nessun uomo può uccidere un suo simile”, proprio come avvenne in quella strage rimasta senza traccia. Se non siamo in grado di ricordare, come possiamo educare, educarci e domandare ai giovani di fare memoria? Questa è la vera domanda. Davanti a un continente che costruisce muri e alza reticolati, noi che ci dividiamo nel ricordo dei morti cosa possiamo replicare? Come possiamo chiedere ad altri di non fare distinzioni se nei nostri cuori cataloghiamo le persone in base alle appartenenze?

Le domande restano tutte aperte, con il loro carico di dolore e di divisione. È giunto il tempo di superare queste barriere.

Corriere Cesenate 17-2016

Pubblicato martedì 26 Aprile 2016 alle 18:30

Trattandosi di un vecchio articolo non è più possibile commentare.

Brevi quotidiane

Ultimi articoli

Ultimi interventi

Parole di Vita

Archivio Documenti