“7 minuti”, la recensione

SPETTACOLI – Il nome di Stefano Massini è ben noto agli amanti del teatro soprattutto perché è con la sua “Lehman Trilogy” che si è conclusa l’opera teatrale di Luca Ronconi. Dopo un cospicuo numero di recite in Italia, il suo atto unico “7 minuti” è in scena al “Bonci” di Cesena da giovedì 11 a domenica 14 febbraio.

Lo spettacolo prende le mosse da un fatto realmente accaduto: una fabbrica tessile dell’Alta Loira, in Francia, è il luogo in cui le operaie si sono sentite fare una semplice proposta dalla proprietà, rinunciare ad appena sette minuti della loro pausa per venire incontro alla ditta, che si stava tanto impegnando per non chiudere né licenziare. In sé apparirebbe come una semplice proposta, anzi, una generosa offerta. In fondo, cosa sono mai sette minuti? Se lo chiedono anche le operaie e le impiegate della ditta del dramma di Stefano Massini. Solo Bianca, la più anziana del gruppo, la portavoce del consiglio di fabbrica, qualche dubbio ce l’ha, e chiede alle altre donne, operaie e impiegate, di discuterne.

Lo spettacolo, sulla carta, potrebbe apparire fin troppo noioso e monotematico: una serata a discutere di vertenze sindacali? In realtà, la qualità della scrittura teatrale di Massini si vede nel modo in cui passa dal caso specifico a temi più generali, come introduce all’interno del dibattito fra le undici donne temi differenti, anche molto ardui, come nozioni di macroeconomia, riflessioni sul concetto di plusvalore, temi economici che si rivelano essere anche etici, perché dietro i sette minuti ci sono le vite di tante persone. Se l’unica cosa che conta è l’economia, allora non ci sono limiti ai sacrifici che si è disposti a fare, per mantenere il posto di lavoro. Ma se quei minuti di pausa sono un diritto, non si può cedere neanche di un secondo, perché da quegli iniziali sette minuti (che tradotti in ore lavorative per tutte le impiegate della fabbrica diventano 600 ore in più al mese) si passerà a richieste sempre più esose, e sarà sempre più difficile potervisi opporre.

Il tema, come si vede, è ben più alto dei minuti di pausa, e spinge a riflettere sulla strada che l’Occidente sta prendendo, spinge a riflettere sul fatto che conquiste ottenute nel corso dei decenni passati anche con gravi sacrifici siano sempre più in pericolo, se non già del tutto smarrite. Il perché viene detto con chiarezza osservando l’atteggiamento con cui le compagne ascoltano i dubbi, le perplessità di Bianca: chi non è subito d’accordo viene facilmente etichettato come una persona che ha dei problemi, bisogna evitare ogni occasione per ragionare e riflettere, meglio decidere d’istinto; un quadro fosco, che però trova conferme in molte situazioni dei nostri giorni, in cui assistiamo a scontri sempre più accesi, sempre più umorali e sempre meno raziocinanti.

Venendo alla parte tecnica dello spettacolo, diretto da Alessandro Gassmann, se è particolarmente apprezzabile la volontà di connotare tutti i personaggi, anche quelli che parlano di meno, con alcuni elementi che li rendano subito chiaramente identificabili da parte dello spettatore, e se le scene, di Gianluca Amodio, sono di ottima fattura, unite ad effetti luminosi, di Marco Palmieri, veramente efficaci, sospesi fra cinema e teatro, qualche pecca è da notare a livello vocale: in più di un’occasione, letteralmente, era impossibile sentire le battute dei personaggi, un fatto grave tanto più che si tratta di un testo in cui il dialogo è costante e a volte straordinariamente incalzante.

Molto efficaci le interpretazioni delle attrici: naturalmente al centro delle lodi c’è Ottavia Piccolo, ottima nel suo recitare senza esagerare, dando credibilità a una vecchia operaia che, con semplicità ma con decisione, vuole capire che cosa sta succedendo al suo mondo. Teatro pieno, pubblico entusiasta.

Paolo Turroni

Pubblicato venerdì 12 Febbraio 2016 alle 07:30

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