Quando la violenza è in famiglia

Intervista a Silvia Gentilini, vice questore aggiunto della Polizia di stato a Cesena e delegata dell’Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp) in materia di pari opportunità

CESENA – Ha origini emiliane, ma la sua terra è diventata la Romagna. Residente a Cesena e attualmente dirigente del Commissariato di Polizia di stato di Faenza dove opera dal settembre 2012, Silvia Gentilini, vicequestore aggiunto, è anche delegata dell’Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp) in materia di pari opportunità e violenza di genere. Tema caldo e su cui non solo si è specializzata, ma nell’ambito del quale ha condotto seminari di formazione, corsi e partecipato a convention.

Il Corriere Cesenate l’ha intervistata a chiusura di un anno che ha visto purtroppo l’ennesimo femminicidio in città in cui un giovane padre di origini marocchine ha ucciso la moglie davanti ai tre figli. Un ulteriore omicidio con vittima una donna. In cinque anni in città sono state sette le donne vittime dei loro mariti/compagni che erano diventati “ex” o stavano per diventarlo.

A Cesena negli ultimi anni si sono verificati numeri femminicidi. Fatti di cronaca che sembravano appartenere solo alla realtà dei grandi centri urbani con le periferie degradate e abbandonate, arrivano anche in centri più piccoli, come il nostro. Secondo lei è possibile che anche tutto il tam tam mediatico sui fatti di cronaca possa favorire l’estendersi di questo fenomeno?

In realtà l’informazione sui fatti, anche gravi, di violenza di genere è molto importante per non nascondere un fenomeno grave (tanto da contare una vittima ogni 3 giorni, e questi numeri sono presenti purtroppo da anni nel nostro paese…) che altrimenti continuerebbe a “viaggiare”nell’oblio. Poi c’è sicuramente da fare un discorso importante sulle modalità comunicative e sull’uso delle parole: se si parla ancora di “raptus” quando, in realtà, la stragrande maggioranza degli episodi di violenza di genere sono reiterati e avvengono all’interno delle mura domestiche, o di “morta per troppo amore”, lì dove l’amore con terribili omicidi non c’entra proprio nulla, allora certo non si fa una comunicazione corretta.

Quali sono i tratti distintivi di un potenziale uxoricida?

Difficile poter fare l’identikit dell’uxoricida. Sicuramente si tratta di una persona che non ha un rapporto paritario con l’altro sesso, spesso perchè cresciuto all’interno di famiglie con problemi simili o, peggio ancora, che hanno assistito a frequenti episodi di violenza tra i congiunti. Va però sottolineato come la violenza di genere sia un fenomeno assolutamente trasversale, che non interessa una categoria sociale piuttosto che un’altra, operai piuttosto che professionisti o laureati. Sono tutti potenzialmente coinvolti nella misura in cui non si riesce in alcun modo a gestire il rapporto con il proprio partner e si decide di sottometterlo con l’arma delle minacce, molestie, ingiurie fino ad arrivare alle lesioni volontarie e ad atti estremi come l’omicidio. Episodi che, purtroppo, la città di Cesena ha già visto molte volte.

Negli ultimi anni l’attenzione sul problema della violenza contro le donne si è innalzata. Ma sembra esserci solo un’apparente sensibilizzazione fatta di manifestazioni, flash mob e incontri. I dati infatti riportano un aumento del fenomeno della violenza sulle donne. Secondo lei cosa manca ancora?

Manca una vera e propria rivoluzione culturale. I nostri figli devono crescere all’interno di famiglie che educhino al rispetto, e al rispetto di genere in particolare, e le nostre scuole devono prevedere nei loro programmi scolastici interventi specifici volti proprio all’educazione dei ragazzi in questa direzione. L’approccio fondamentale a questo tema deve essere necessariamente preventivo ed è su questo piano che bisogna cominciare ad investire seriamente, anche in termini di risorse economiche, per crescere una generazione capace di vivere in modo sereno e costruttivo il rapporto con “l’altro sesso”.

Lei che ha intrapreso una carriera dove le donne sono in minoranza, ha la percezione che l’Italia di oggi abbia ancora tanta strada sul fronte della parità tra i sessi? O possiamo ritenerci soddisfatti per le politiche attuate negli ultimi decenni?

Onestamente penso che il nostro paese debba lavorare ancora molto sul fronte della parità tra i sessi. Le politiche attuate negli ultimi decenni sono state senz’altro importanti, ma non esaustive in tema di parità di genere. Anche se l’impegno istituzionale profuso in questi ultimi anni è stato molto importante e ha contribuito a fare emergere numerose situazioni di violenza “sommerse”, occorre però investire in modo concreto e costante in risorse per la formazione culturale, per la creazione di una rete sul territorio che sappia tutelare la donna maltrattata in modo adeguato (Centri antiviolenza, sanitari del Pronto soccorso, Forze dell’ordine) e per preparare professionisti, a vari livelli e in diversi settori, in grado di intervenire e orientare in modo adeguato le donne che subiscono violenza.

Barbara Baronio

Pubblicato giovedì 7 Gennaio 2016 alle 00:02

Una risposta a “Quando la violenza è in famiglia”

Commenti

  1. teresa manes 16 Gen 2016 / 14:21

    La prevenzione deve diventare un pensiero collettivo di politica educativa . Il ruolo della scuola, indubbiamente fondamentale, non può che porsi, in generale, come rafforzativo di un modello che va già avviato all’interno dei nuclei familiari in cui ogni essere umano cresce e si sviluppa. Educare alla tolleranza e al rispetto del prossimo comporta un impegno forse faticoso ma con risultati che ripagano anche in termini di costi.Tutti siamo parti in causa ed essenziali di un cambiamento che è innanzitutto culturale. E la comunicazione (ma con essa la parola e la denuncia) ha un ruolo esecutivo primario. Ricordiamoci però che la stessa, oltre ad essere fatta di sintassi, si compone pure di semantica a cui va aggiunto una coerenza pratica applicata. Teresa Manes​

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