Terra Santa: la condivisione è la via per una pace possibile

L’impegno dei cattolici è su più versanti: educazione, giovani, famiglia, vicini a chi ha più bisogno

Nel viaggio in Terra Santa tra mille volti, nomi e cognomi, si incrociano quelli della suore dell’Istituto Effatà. La superiora suor Piera, delle dorate di Vicenza, si occupa da anni di bambini audiolesi. Anche qui sono tutti musulmani, ma non ci si prende cura dell’altro in base al certificato di battesimo. Stessa situazione anche per le sei suore di Madre Teresa di Calcutta che a Gaza gestiscono un orfanotrofio con 42 piccoli tutti disabili. Sono figli di genitori musulmani.

Sobhi, la nostra guida, è il condensato delle differenze e delle contraddizioni di questa terra così intricata. E’ di origine palestinese. Galileo di Nazaret, ci tiene a precisare. E’ cittadino israeliano, ma non essendo ebreo non ha tutti i poteri. Fa parte di una minoranza, quella araba. Parla benissimo l’italiano e altre cinque-sei lingue. Ha studiato nel nostro Paese. E’ di fede cattolica, altra minoranza. Di rito maronita, ulteriore minoranza. E’ diacono permanente. Tenta, nei pochi giorni in cui siamo stati insieme, di farci comprendere la complessità che si vive a queste latitudini.

Con Vincenzo Bellomo, un siciliano che a Betlemme ha trovato casa e famiglia, facciamo la conoscenza degli istituti della Custodia di terra santa. Oltre duemila ragazzi vanno a scuola grazie a questa presenza. Non solo. Le mamme portano avanti progetti di piccolo artigianato di valore, per cercare di fare quadrare conti che non tornano mai.

Anche i salesiani sono stimati dalla gente del luogo per le loro scuole professionali molto apprezzate perché offrono la possibilità di trovare lavoro, merce rara da queste parti. Nella città natale di Gesù si trova il grande progetto del nuovo centro giovanile “Papa Francesco” che si realizza grazie a un notevole contributo della Cei proveniente dai fondi 8xmille.

Mentre visitiamo i lavori in corso, scoppiano scontri tra manifestanti e militari israeliani. Lancio di sassi da una parte, lacrimogeni dall’altra. E noi a fotografare per essere dentro la notizia.

Ci sono anche i cooperanti delle Ong italiane. Incontriamo Francesca di Verona mentre alla mensa Caritas di Betlemme si sta per servire il pranzo a un drappello di anziani. In questa città, come in tutti territori palestinesi, non esiste previdenza e per la sanità è bene rivolgersi altrove. Francesca parla correntemente inglese e spagnolo. Nonostante abbia solo 24 anni, ha già una laurea in Sicurezza internazionale e terrorismo guadagnata in Inghilterra. Ha il visto come volontaria, ma l’entusiasmo che traspare dal suo sorriso è di chi ha trovato validi motivi per stare qui e per vivere.

Sulla tessa lunghezza d’onda è Cinzia Rizzioli dell’Ong Vento di terra. Milanese, vive a Gaza da un paio di anni. Porta avanti un progetto finanziato dall’Unione europea per tenere impegnate 25 donne di un villaggio beduino, alle porte della città. Si insegnano falegnameria e sartoria. Accanto verrà realizzato dalla Cei un asilo per circa 120 bambini. Una precedente struttura, sempre costruita dalla Chiesa italiana, è stata distrutta da un bombardamento.

“Facciamo questo lavoro per avere un punto di aggregazione per queste donne – dice Cinzia -. Non è stato semplice mettere insieme questo edificio, vista la scarsità del cemento e i prezzi a cui viene venduto. I mattoni sono stati realizzati con sabbia compressa”.

Fz

Pubblicato giovedì 26 Novembre 2015 alle 00:01

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