L’estate è anche il tempo per incontri e riflessioni eccezionali Bisogna saper osare. E allora accade l’imprevedibile

Caro direttore,
scrivo queste righe perché l’ho promesso a un amico e perché penso che sia bello raccontare quanto mi è accaduto durante un periodo di ferie a Rodi: l’estate è davvero un tempo eccezionale.

Con mio marito Forfo avevamo deciso che Rodi sarebbe stata la meta delle vacanza 2015: già da tempo abbiamo iniziato a visitare i posti legati ai viaggi di San Paolo (Corinto, Salonicco/Tessalonica, Filippi, Efeso, Malta, Cipro…): l’apostolo delle genti, nel suo terzo viaggio missionario, è passato da Rodi, e così, attirati anche dalla ricchissima storia antica di questa isola e anche da quella più recente, siamo partiti.

Tra i mei desideri c’era anche quello di visitare la vecchia città di Rodi, in particolare il quartiere ebraico, la Giudrìa. Questo sogno era nato la scorsa estate, in un’altra bellissima isola greca, Patmos, visitata questa volta con l’Apocalisse di San Giovanni in mano… A Patmos avevo letto il libro “Per questo ho vissuto” di Samuel Modiano, edito da Rizzoli (indico il titolo per intero, perché spero che altre persone possano leggerlo per capire, per sapere, per ricordare).

Il libro, autobiografico, racconta la storia di Samuel Modiano, ebreo italiano, nato a Rodi il 18 luglio 1930, quando l’isola era sotto la dominazione italiana. Samuel, detto Sami, a seguito delle leggi razziali, nell’estate 1944 con tutta la sua famiglia e la maggior parte della comunità ebraica di Rodi, fu deportato fino a Birkenau e Auschwitz, dopo un viaggio terribile prima per mare, poi sul treno fino alla rampa della morte a Birkenau. Qui come tutti i deportati è stato spogliato, e con il suo “pigiama” a righe è iniziata la sua tragedia. Nella parte interna del suo avambraccio sinistro viene tatuato B. 7456 a indicare che non era più un uomo, che la sua vita non aveva più alcun valore.

Samuel stava morendo quando nel gennaio del 1945 i russi arrivarono ad Auschwitz nel campo dove a stento era riuscito a trascinarsi e dove i tedeschi, ormai consapevoli di aver perso la guerra, avevano costretto gli ultimi deportati sopravvissuti, ad andare. Ancora una settimana e Samuel sarebbe morto davvero di fame, di stenti, di freddo. Samuel è sopravvissuto mentre il padre e la sorella Lucia, con tanti altri, non ce l’hanno fatta: la sua giovane età, il suo fisico forte, il suo attaccamento alla vita lo hanno salvato. “Non era ancora il momento, il Padre Eterno non voleva ancora la mia anima”.

Ma Samuel ha vissuto, si è ripreso grazie all’ostinazione di una dottoressa russa, ha attraversato a piedi mezza Europa e, non avendo più una casa (Rodi nel frattempo era diventata greca), non avendo più nessuno della sua famiglia in vita, è tornato a Roma con un compagno di avventura. Ha iniziato una nuova vita. Samuel ha cercato di dimenticare e ha continuato a pregare il Padre Eterno, chiedendosi ogni giorno “Perché io sono sopravvissuto? Perché proprio io?”. Samuel si è sposato e ha vissuto con Selma, anche lei ebrea di Rodi e scampata ai rastrellamenti sull’isola, una vita intera. Una vita fatta di silenzi, di grandi tormenti, di depressione, di crisi, cercando di dimenticare l’incancellabile. Per tanto tempo Samuel, come molti dei sopravvissuti, si è sentito incompreso, qualcuno lo ha anche accusato di essere un bugiardo e di essersi inventato tutto. Non parlare di Birkenau e Auschwitz, della sua famiglia, della sua vicenda è stato un modo per cercare di andare avanti.

Sono riuscita a realizzare il mio sogno, abbiamo visitato Rodi, la vitta vecchia, la Giudrìa, ma è successo di più: sulla porta della sinagoga ho incontrato Samuel, proprio lui. Una persona alta, ancora forte, con uno sguardo profondo. Incrociare i suoi occhi, riconoscerlo, chiamarlo per nome è stato un’emozione unica, come ritrovare un amico dopo tanto tempo: un amico che conoscevo già da tempo.

A lungo siamo rimasti con lui nella sinagoga. Ci ha raccontato la sua vita, curioso ha chiesto come facessimo a “conoscerlo”. Samuel ci ha detto che la sua vita ha ricominciato ad avere un senso solo quando ha capito che cosa il Padre Eterno volesse da lui: raccontare al mondo quanto era successo a Birkenau e Auschwitz. Solo così, già anziano, ha saputo dare una risposta a quella domanda che lo ha tormentato dal 1944: “Perché proprio io?”.

Da circa 15 anni sta vivendo il periodo più bello della sua vita: a 85 anni ogni anno (“fino a che Lui non vorrà la mia anima”, dice) accompagna scolaresche a Birkenau e Auschwitz nei viaggi della memoria insieme alla moglie. Lo scorso anno è andato otto volte a Birkenau, rivivendo ogni viaggio la sua storia di bambino deportato giunto alla rampa della morte, senza sapere cosa sarebbe accaduto. Sami durante l’estate torna a Rodi, la sua isola delle rose, e in sinagoga racconta ai turisti e a quanti si affacciano la storia della sua comunità, della sua famiglia. Per non dimenticare. Questo farà finché ne avrà le forze, finché avrà vita.

Ci siamo lasciati contenti e commossi, cambiati da un incontro che non aspettavamo ma che è stato bellissimo. “Mai più B. 7456”, ci ha ricordato Sami con una dedica che ci ha lasciato nel suo libro. “Mai più B. 7456” è l’invito di Samuel Modiano, sopravvissuto a Birkenau e Auschwitz, che facciamo nostro e che rivolgiamo a tutti.

Grazie

Valentina Santerini
(Cesena)

Gentilissima Valentina,
mille grazie per questa intensa testimonianza di un incontro inatteso. Solo avendo coscienza di ciò che ci ha preceduto sapremo come meglio orientare la nostra bussola verso il futuro ed esserne anche consapevoli protagonisti. Mi permetto solo di aggiungere: non mi pare che quanto accade attorno a noi indichi che si sia imparato molto dalla storia, anche recente. Purtroppo. Invece, le vicende del passato sono proprio lì a farci da monito perché certi orrori non si ripetano mai più. Lezione ancora tutta da imparare.

A presto. E speriamo bene.

Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

Pubblicato giovedì 27 Agosto 2015 alle 00:01

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