“I figli sono i primi a pagare le conseguenze delle separazioni”

Caro Francesco,
riprendo questa frase di papa Francesco tratta da una sua catechesi di qualche mercoledi fa: “La difficoltà a restare assieme – sia come coppia, sia come famiglia – porta a rompere i legami con sempre maggiore frequenza e rapidità, e proprio i figli sono i primi a portarne le conseguenze… Le prime vittime, le vittime più importanti, le vittime che soffrono di più in una separazione sono i figli”.

Solo nel 2012 (fonte Istat) le separazioni sono state 88.288 e i divorzi 51.319; in altri termini, per ogni 1.000 matrimoni si contano 311 separazioni e 174 divorzi. La durata media del matrimonio in Italia risulta pari a 16 anni per le separazioni e a 19 anni per i divorzi. Il 73,3 per cento delle separazioni e il 66,2 per cento dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante il matrimonio. In metà delle separazioni e in un terzo dei divorzi è coinvolto un figlio minorenne. I figli coinvolti sono stati 112.253 nelle separazioni e 53.553 nei divorzi.

Se moltiplichiamo questo dato per dieci anni, la cifra dei bambini figli di separati o divorziati diventa colossale. Un mare di sofferenza e di attesa di pacificazione. La letteratura scientifica fornisce elementi sulle conseguenze della separazione dei genitori sui figli: depressione e ansia; problemi a scuola (sia prestazionali che comportamentali o di interruzione precoce del percorso formativo); somatizzazioni; fobie; disturbi nel sonno e nell’alimentazione; regressioni; malessere comportamentale, emotivo e psicologico; bassa autostima e difficoltà relazionali.

Gli anni più critici per il bambino risultano essere i primi due dopo la separazione: un “crisis period”, caratterizzato da stress, ansia, tristezza, confusione, paure generalizzate. Per alcuni bambini questi effetti persistono anche dopo il periodo critico, con manifestazioni di ansia, di comportamento iperattivo, di maggiore disobbedienza, soprattutto se il divorzio è avvenuto prima dei 6 anni di vita del bambino. Si parla di “sleeper influence”, di un effetto più “silenzioso”, ma non per questo meno consistente, che accompagnerebbe il bambino anche diversi anni dopo la separazione.

I bambini in età prescolare hanno più difficoltà nel breve periodo mentre, se il divorzio avviene nella preadolescenza e nell’adolescenza, i problemi emergono in momenti successivi della vita. Studi longitudinali evidenziano conseguenze in particolare nella sfera relazionale con difficoltà, per i figli ormai giovani adulti, ad avere relazioni stabili e soddisfacenti, con ansia e paura di essere abbandonati dal partner e maggiore possibilità di divorzio. I maschi risultano più a rischio delle femmine, e questo rischio si manifesterebbe maggiormente sul versante di comportamenti esternalizzati (aggressività, devianza, comportamenti a rischio), mentre le femmine si dimostrano più sensibili ed esposte sul versante internalizzato (depressione, bassa autostima, stress, problemi emotivi).

Certo, non sempre e non necessariamente, ci sono conseguenze negative in dipendenza di fattori protettivi quali il supporto sociale, il livello economico e, importantissimo, la continuativa funzione protettiva dei genitori. Ma il benessere psicologico del bambino è il medesimo in coppie omo che eterosessuali? I numeri sono molto meno abbondanti rispetto al caso precedente. Infatti, secondo i dati Istat 2011, in Italia le coppie con figli certificate dal censimento sono 13.997.591; di queste 7.591 sono costituite da genitori dello stesso sesso. I figli conviventi sono 529. Pertanto i dati che si trovano in letteratura sono per lo più provenienti dal mondo anglosassone. Ma già stupiscono perché contraddicono i dati propagandistici delle associazioni Lgbtq! Laddove esiste una legislazione che estende l’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali come in Olanda, i matrimoni si sono ridotti nel tempo: quindi è lecito pensare che la tendenza delle coppie omosessuali sia quella di non aspirare al matrimonio. D’altra parte, la longevità di un coppia eterosessuale è alquanto superiore rispetto a quella omosessuale: il rapporto omosessuale femminile stabile dura in media 4.9 anni, mentre quello maschile 6.9 anni. In base alle considerazioni precedenti, non è un dato da trascurare! Inoltre alcuni indicatori risultano significativamente diversi tra coppie omosessuali ed eterosessuali. È descritto un aumento di violenza, malattia mentale, abuso di sostanze, tendenza suicide, accorciamento della vita media nelle coppie omosessuali. È acclarata una maggiore incidenza di problemi emotivi ed emozionali nei bambini conviventi ai figli di coppie omosessuali.

Questi dati ci sfidano ad intraprendere un cammino di autocoscienza e di educazione dei bambini e giovani, che incontriamo quotidianamente nel lavoro e per le strade e che possiamo considerare i nuovi poveri della nostra società, affamati di stabilità e di positività. Di fronte all’attacco di proposte di legge che favoriscono l’instabilità della famiglia, indeboliscono e sviliscono l’identità della persona, inseriscono programmi scolastici sul gender che nulla ha di razionale, che fare? Le alternative sono due: o pensiamo che la partita sia già persa e sia inutile mettersi di traverso. Oppure pensiamo che sia ancora possibile battersi con coraggio, resistendo “alla tentazione di scendere dalla croce” per far piacere al pensiero unico. Siamo disposti a farlo?

Ringrazio per la disponibilità di spazio sul tuo giornale.

Antonio Belluzzi (Cesena)

Carissimo Antonio,
le tue argomentazioni sono fin troppo chiare. Non mi resta altro da aggiungere.
A presto.

Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

Pubblicato giovedì 21 Maggio 2015 alle 00:01

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