Vinti: il dovere del ricordo

di Francesco Zanotti

“Caro Francesco, il clima ancora non lo permette”. Questa è la risposta che mi sono sentito dare dal figlio di una delle vittime dell’eccidio che venne consumato nel carcere della Rocca di Cesena nella notte fra l’8 e il 9 maggio 1945. Sono trascorsi 70 anni, ma ancora di quei 17 uccisi nel sonno non viene fatto alcun ricordo.

Tutto pare inutile in tal senso. Noi, per quanto possiamo, desideriamo andare controcorrente, ricercando fino in fondo la verità anche su questi dolorosi eventi. Tentiamo di fare memoria, non certo per rivendicare chissà che cosa, ma per rispetto della dignità delle persone e dei parenti che ancora oggi portano nel cuore una croce che non possono condividere. Pare assurdo, ma invece è ancora così.

“Non si può ricordare nulla in modo pubblico. È ancora impossibile. Su questo argomento noto una chiusura totale”. È sempre questo figlio che parla. Allora aveva tre mesi. Non ha mai conosciuto il suo babbo. La mamma era una ragazza di 18 anni. Luigi, il nome è di fantasia, aggiunge: “Privatamente andremo al cimitero e faremo celebrare una Messa, come facciamo tutti gli anni. Non si vuole alimentare alcun odio, per carità. Ma cercare la verità dei fatti è un dovere di tutti”.

È quello che stiamo provando da diversi anni. Sono andato a sfogliare le annate del nostro Corriere. Nel 2004 ne scrisse il professor Giovanni Maroni, dopo l’uscita del famoso libro di Giampaolo Pansa, “Il sangue dei vinti”. Poi ci siamo tornati sopra in più occasioni, con commenti e approfondimenti. Ogni volta abbiamo chiesto un ricordo, un’iscrizione, una memoria che potesse fare da monito collettivo. Certi fatti non devono accadere mai più.

Monsignor Beniamino Socche, dopo la strage del maggio del ’45, disse che “si vergognava di essere vescovo di Cesena”, come riportato nel diario di don Leo Bagnoli. Anche lo storico Marco Pirina tentò di trovare uno spiraglio nel muro di gomma attorno al sangue dei vinti e alla strage dei 17 fascisti della Rocca. Ci ha provato Bruno Vespa nel suo “Vincitori e vinti”. E un tentativo lo fece, negli anni, il cesenate Sergio Dini quando a Padova era procuratore militare. In città nulla, nonostante le promesse, disattese, formulate nel 2007 dall’allora sindaco Giordano Conti.

Chiudo citando il professor Maroni sul Corriere del 13 febbraio 2004: “I fatti sono questi, documentarli è un dovere e così ricordarli, senza strumentalizzarli per una tesi di parte, ad ammonire che homo res sacra homini est (Seneca), sempre, anche quando si scatena la bestia della vendetta e del linciaggio: tu non uccidere”.

Corriere Cesenate 18-2015

Pubblicato martedì 5 Maggio 2015 alle 18:30

Trattandosi di un vecchio articolo non è più possibile commentare.

Brevi quotidiane

Ultimi articoli

Ultimi interventi

Parole di Vita

Archivio Documenti