Per un “uomo ombra” vivere è come bruciarsi senza calore. Carmelo Musumeci racconta il suo primo permesso dopo 24 anni di prigione

I lettori del Corriere Cesenate conoscono già la storia e le vicende dell’ergastolano ostativo Carmelo Musumeci. Più volte gli abbiamo dato spazio e in diverse occasioni abbiamo parlato di lui su queste colonne. Di recente ho anche raccontato di una telefonata ricevuta mentre ero all’aeroporto di Cagliari.

Sì, una telefonata da un uomo che non può uscire di galera. E invece è accaduto, proprio perché ora Musumeci non è più considerato ostativo, cioè uno che non uscirà mai (ostativo ai benefici penitenziari), uno di quelli che ha scritto nel certificato di pena 31.12.9999. Ora Musumeci può ottenere permessi.

Del suo primo permesso di nove ore dopo 24 anni di detenzione (nel 2011 aveva avuto 11 ore di permesso per laurearsi), avuto sabato 14 marzo scorso, ha messo insieme alcuni scritti che qui di seguito ripropongo in parte. Sono parole che meritano di essere lette. Parole in grado di fare comprendere a chiunque, quindi anche a noi, che dietro le sbarre si rimane sempre uomini. Uomini a immagine di Dio. Nonostante tutto.

Buona lettura.

Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

Sono passati quattro lunghi anni dalle uniche undici ore che ho trascorso, in ventiquattro anni di carcere, nel mondo dei vivi. E ricordo che mi erano stati concessi con un permesso di necessità per andarmi a laureare da uomo libero. Dopo non sono più riuscito a uscire, perché con l’ergastolo ostativo non puoi usufruire di nessun permesso premio e di nessun beneficio penitenziario se non collabori con la giustizia. E allora non ho potuto fare altro che darmi da fare per fare conoscere che in Italia, Patria del Diritto Romano e della Cristianità, esiste la “Pena di Morte Viva” (così chiamiamo l’ergastolo ostativo, che ti mura vivo senza la compassione di ucciderti).

Nonostante non sia più riuscito ad uscire, non mi sono mai pentito di essermi ripresentato quattro anni fa con le mie gambe davanti all’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) perché per una volta, una volta sola, ho potuto dimostrare di essere migliore di uno Stato che condanna una persona ad essere cattiva e colpevole per sempre. Adesso, dopo quattro lunghi anni, i ricordi di quelle “Undici ore d’amore” sono diventati sempre più piccoli, perché nella mia mente ho rivissuto quei ricordi tante di quelle volte che li ho consumati. E purtroppo per un uomo ombra vivere è come bruciarsi senza calore.

Sono due anni e mezzo che ho presentato la prima richiesta di permesso alla magistratura di sorveglianza. E non ho mai ricevuto nessuna risposta. In carcere si sta al mondo, ma non si vive nessuna vita. E quando aspetti una risposta accade spesso che quella che passa sembra la giornata più lunga. Poi l’indomani però pensi la stessa cosa, perché il tempo in carcere non passa mai. Forse perché dentro l’Assassino dei Sogni il tempo è tempo perso. Tempo vuoto. E senza amore. La sera poi è ancora più lunga. E la mattina non arriva mai. Ti senti come un cadavere vivo chiuso fra quattro mura. Davanti un blindato. Dietro una finestra piena di sbarre. Nel mezzo il tuo cuore vivo. E prigioniero in attesa di una risposta.

Negli ultimi tempi faccio fatica ad arrivare alla fine della giornata perché il mio magistrato di sorveglianza continua a non rispondermi. E io non ce la faccio più ad aspettare di sapere se posso sperare di morire un giorno da uomo libero. La mia unica consolazione è che se questa risposta ritarda così tanto può essere positiva, ma è poco, troppo poco, per poter fare sera e fare mattina. Mentre aspetto questa maledetta o benedetta risposta non riesco a trovare nessuna via di uscita da questo tunnel di ansia. E non riesco a trovare nessun conforto pensando che questa risposta potrebbe essere positiva, perché quando sei torturato t’interessa poco sapere che un giorno non lo sarai più. L’ansia di questa risposta che non arriva mai mi tormenta dalle prime ore del mattino fino all’ultimo minuto della giornata.

Prima di presentare questa richiesta di permesso mi sentivo vivo e avevo tanta forza per tenermi in vita. Adesso invece quando mi sveglio al mattino mi chiedo come riuscirò ad affrontare un’altra giornata e arrivare a sera. Non riesco più a trovare la forza di andare avanti. Desidero solo che arrivi prima possibile questa maledetta o benedetta risposta. E anche se fosse una condanna a morte sarei lo stesso felice, perché una non risposta è più crudele dell’ergastolo ostativo. Sono stressato dall’attesa. E ho perso quattordici chili di peso. Nella mia vita ho conosciuto tutto quello che c’era d’aver paura, ma non conoscevo ancora la paura dell’attesa. (Continua)

Carmelo Musumeci

Pubblicato giovedì 23 Aprile 2015 alle 00:01

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