Chiamati ad amare

di Sara Dell’Amico

“La vocazione è una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre se stessi, decentra la persona, innesca un esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé”. Con queste parole papa Francesco – nel suo messaggio per la 52esima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che si celebra domenica prossima – ci aiuta a ripercorrere con gratitudine il dono della nostra chiamata all’amore.

Matrimonio e vita consacrata sono veramente un esodo permanente verso l’altro. La sponsalità e la maternità/paternità sono dimensioni relazionali inscritte nel cuore di ogni donna e ogni uomo e possono essere vissute in modi diversi: qualunque sia la propria vocazione, ognuno è chiamato sempre ad amare e ad essere amato, a non rimanere chiuso in se stesso ma a donarsi, a spendersi per amore.

In modo molto bello e con grande chiarezza Giovanni Paolo II scriveva nella Mulieris dignitatem al n. 21: “L’amore sponsale comporta sempre una singolare disponibilità ad essere riversato su quanti si trovano nel raggio della sua azione. Nel matrimonio questa disponibilità, pur essendo aperta a tutti, consiste in particolare nell’amore che i genitori donano ai figli. Nella verginità consacrata questa disponibilità è aperta a tutti gli uomini, abbracciati dall’amore di Cristo sposo”.

Chi non si sposa, perché si consacra a Cristo, vive una relazione d’amore con Lui che, come Unico Amore, abita e riempie la vita e ci rende madri e padri di una moltitudine di figli: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi (…), l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).

“Una donna consacrata” – continua Giovanni Paolo II – ritrova in tal modo lo Sposo, diverso e unico in tutti e in ciascuno. […] La verginità, infatti, non priva la donna delle sue prerogative. La maternità spirituale riveste molteplici forme”.

Oggi si tende piuttosto a fuggire dalla relazione, e così facendo non ci si accorge di fuggire da Dio, da Colui che riempie di senso la nostra esistenza. Allora dire sì al Signore è anche dire sì all’altro che ci vive accanto come fratello, come figlio. Vuol dire accorgersi di lui e del suo bisogno. Questa cura dell’altro per noi consacrati diventa missione vissuta nella gioia della fraternità, e realizzata attraverso le forme più diverse di espressione, compresa la fatica e la gioia del lavoro, compresa la fatica e la gioia della preghiera, momento grande e irrinunciabile di intimità con Cristo e di comunione profonda che ci permette di portare all’altro l’unico Amore capace di curare e confortare il cuore di ogni uomo.

Corriere Cesenate 16-2015

Pubblicato martedì 21 Aprile 2015 alle 18:30

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