“Siamo educatori, non ci sostituiamo alla famiglia”

Antonio Genzano, ex calciatore del Cesena, è il direttore sportivo del Romagna Centro. “Dobbiamo formare i ragazzi sia tecnicamente che umanamente”

Dribbling, coperture e allunghi, a sfrecciare sulla fascia col numero sette sulle spalle. Un gol indimenticabile alla Roma del “barone” Liedholm quando ancora le partite si giocavano la domenica. Tutte. Stagione 1981/82, sulle maglie la griffe dell’Adidas e sponsor i F.lli Dieci, roba da far invidia ai malati del vintage. Lui è Antonio Genzano, classe 1955, romano di nascita, chiamato, nel 1981, in serie A dal neopromosso Cesena e che, in questa città, ha deciso di mettere su casa. Non quella raminga dei calciatori che per lavoro vanno e vengono, ma casa casa.

Prima dettava i ritmi di gioco nel centrocampo bianconero targato Renato Lucchi, adesso scandisce i tempi degli allenamenti dei suoi ragazzi, nei campi dell’Asd Romagna Centro a Martorano come direttore sportivo e responsabile del settore giovanile. A contatto con bambini e adolescenti fino ai ’grandi’ della prima squadra, il suo ruolo appare delicato.

“Ci viene chiesto certamente di formare i ragazzi da un punto di vista tecnico e tattico – dice Genzano – ma non possiamo sottrarci al compito di crescere un piccolo atleta, fino a portarlo nel mondo del calcio, anche sotto il profilo comportamentale e caratteriale. Poniamo molta attenzione a questo aspetto, senza mai sostituirci alla famiglia, sia chiaro. Cerchiamo di dare loro delle linee guida. E di andare incontro alle esigenze della famiglia specialmente quando ci sono di mezzo impegni scolastici. Se il rendimento a scuola non è buono o ci sono difficoltà di altro genere, il calcio viene dopo. Tutto è più facile se dietro c’è una famiglia collaborativa”.

Genitori, famiglia: tasto dolente o valore aggiunto? “Io uso un mio sistema. A inizio stagione li chiamo singolarmente col proprio figlio, parlo con loro con estrema trasparenza. Il problema è l’impiego dei figli in campo. Nelle categorie più giovani si va in base al minutaggio, quindi non ci sono particolari problemi, in altre categorie (Giovanissimi regionali, Allievi regionali, Juniores, ndr) l’impiego è subordinato al discorso tecnico e in questo caso il comportamento di famiglia e giocatore è fondamentale”.

Dire al ragazzo, ’oggi non giochi’ non è semplice. Spiega Genzano: “Il giovane atleta capisce la scelta del tecnico o dei suoi collaboratori. Basta spiegargli perché la fa. Non è educativo illudere un bambino, ne soffre. Se gli parli in maniera semplice e vera, capirà. E’ più difficile spiegarlo ai genitori che sono anche quelli che più accusano le sconfitte”.

I ragazzi invece? “Loro sanno che la sconfitta è una possibilità. Cerchiamo di non dare pressioni sul risultato, la società non chiede questo. I risultati si ottengono strada facendo”.

Per molti giovani calciatori si prospetta il salto in prima squadra molto presto, recentemente c’è stato l’esordio di un ’98 nel campionato di serie D. Non è una forzatura? “Se giocano è perché riteniamo che siano pronti per il salto, fisicamente e mentalmente. Il nostro compito è anche quello di capire quando un ragazzo ha la maturità giusta per gestire e affrontare certe situazioni. Può succedere che a volte un ragazzo più giovane sia più maturo dei compagni più grandi”.

Una persona che fa rispettare le regole, ma con le ’carezze’. Ecco come si definisce Genzano. “Sì, questo è il mio metodo di lavoro: rigidità, ma anche comprensione. Quando un ragazzo sbaglia intervengo. Ma è mio dovere intervenire anche quando vedo che è giù di morale o quando capisco che qualcosa non va”.

Come gestire i talenti? “Essendo ragazzi dotati per natura – conclude Genzano – è necessario che capiscano che quello che deve migliorare è la testa. Non devono avere fretta. Ho visto talenti bruciarsi per non aver posto attenzione a questo aspetto. Spesso il problema è dovuto a disagi familiari, a pressioni che portano conseguenze tremende sul campo”.

Michela Mosconi

Pubblicato giovedì 26 Marzo 2015 alle 00:01

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