Il grande cuore di monsignor Lanfranchi

Sei anni ricchi e intensi

di Ernesto Diaco

L’educazione dei giovani, la sua grande passione. E poi la vita della città, l’ascolto della Parola di Dio, l’unità della “famiglia diocesana” con le sue diversità di storie e di sensibilità. È difficile riassumere in poche righe i tratti caratteristici del ministero episcopale del vescovo Antonio a Cesena-Sarsina, sei anni intensi e ricchi di prospettive.

Questi però mi sembrano gli aspetti salienti. E, al di sopra di tutto e in ogni momento, l’attenzione alle persone e la cordialità dei rapporti con tutti. Aveva il cuore grande, don Antonio. Accogliente e generoso. Ma aveva anche una acuta intelligenza e apertura di sguardo.

Le sue analisi e indicazioni affondavano radici in studi, letture, confronti. Sapeva chiedere consigli e non rifiutava il dialogo con nessuno, capace di mostrare la bellezza del Vangelo e dell’esperienza cristiana con grande passione e desiderio di incontro. Nei diversi contesti in cui si trovava, monsignor Lanfranchi amava ripetere di aver trovato a Cesena una Chiesa viva. E che sentiva forte su di sé la responsabilità di far lievitare questa ricchezza, soprattutto qualificandola come coscienza critica e vigilante, capace di incidere nella vita delle persone e del territorio.

“La Chiesa è sempre Chiesa nella città”, ribadiva costantemente. “Parte integrante della vita del territorio e anima della società”. Come fare, in concreto? Gli chiesi una volta. La risposta fu pronta: “In due modi”, disse. “Diventando compagni di strada di tutti, con la condivisione dei problemi del nostro tempo. E radicandoci sempre più nella relazione con Cristo nel Vangelo”.

Emblematico di questo spirito è un’altra considerazione, per certi versi sorprendente, che mi confidò alla vigilia della festa di San Giovanni Battista nel 2004, la sua prima celebrazione del patrono di Cesena. Gli avevano raccontato del centro cittadino invaso da bancarelle e attrazioni varie, forse per fargli notare lo stridore fra sacro e profano. Ma lui aveva un’altra visione. “Mi sembra un tratto bello – rispose – che tutto ciò sia attorno alla Cattedrale, nel senso che la Cattedrale raccolga attorno a sé le esperienze della vita, della festa, dell’incontro, dello scambio. Mi piace perché in questo vedo da una parte la Cattedrale come segno della Chiesa che richiama ad alzare sempre lo sguardo, e dall’altra non ha paura di mostrare che la fede si incarna in quelle che sono le manifestazioni della vita”.

In quello stesso giorno si sarebbe ricostituito il Consiglio pastorale diocesano, per cui fu immediato insistere sulla sua visione di Chiesa. “Non ho in testa una Chiesa omogeneizzata, totalmente uniforme, ma una Chiesa che vive l’unità nella diversità, componendola dentro alla comunione”, spiegò. “E nello stesso tempo sono convinto che la fede esprime pienamente la sua fecondità quando si traduce in cultura, in modi di vita che informano la mentalità, che creano legami tra le persone. E dunque quando la comunione si trasforma in una fraternità concreta, dove ognuno si fa carico dei problemi, delle vicende degli altri”.

Una Chiesa non chiusa nelle sue mura, ma proiettata fuori di sé. Oggi diremmo “in uscita”. Quando nel 2008, in occasione dell’assemblea diocesana dell’Azione Cattolica, volemmo raccogliere i suoi discorsi alla città in un’agile pubblicazione, fu facile trovare un titolo che ne riassumesse lo spirito e lo stile. Una vera indicazione programmatica: “Sogniamo insieme il futuro”.

Pubblicato giovedì 26 Febbraio 2015 alle 00:01

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