Due amici ricordano il professore e giornalista Stefano Salvi: “Dal cielo sarai al nostro fianco. E non sarai lontano”

Caro Francesco,
ti mando una lettera indirizzata a Stefano Salvi, per fare memoria di quanto sia stato una presenza importante per tante persone nei suoi sessanta anni di vita. Io ho un ricordo personale della mia infanzia che mi lega a lui in modo particolare, ma credo che in tanti gli siamo debitori di qualcosa. Un caro saluto. Provo un grande dispiacere per la sua morte
.

Caro Stefano,
ci hai lasciati da poche ore e già ci manchi! E a me in particolare per una storia di vecchissima data. Io, nella notte del 17 novembre del lontano 1957, fui ricoverato nella tua casa e vi stetti per 29 lunghi giorni dopo un intervento eseguito da tuo padre, rinomato oculista, nel cuore della notte. Essendomi infilato per un gesto incauto le forbici nell’occhio dx e non esistendo ancora il reparto di oculistica presso l’Ospedale Bufalini, la tua casa era come una piccola clinica per gli ammalati d’occhi di Cesena. E io, di appena 11 anni, in quei tristissimi giorni – ambedue gli occhi bendati – ricordo che l’unica mia distrazione era quella di sentire il rumore delle corse matte di un bambino di 4 anni che scorazzava lungo i corridoi e mi dissero che era il figlioletto del professore, Stefano il suo nome.

Non ti ho mai visto né ho mai più sentito parlare di te se non verso la fine degli anni sessanta, quando ho ascoltato un tuo intervento durante un incontro di Gioventù Studentesca. Ricordo che dicesti cose molto profonde e fu la prima volta che sentii la tua voce con un modo molto personale di scandire le parole; un tono marcato con pause lunghe, come per dare all’interlocutore il tempo di pensare a quanto gli volevi dire. E da allora, cioè da più di quarant’anni, non ci siamo mai più persi di vista.

Ho avuto modo di cogliere gli aspetti salienti della tua personalità, su cui spiccava un amore a Gesù al di sopra di ogni altra cosa. E un amore alla Chiesa come se davvero fosse la tua casa. E un senso dell’amicizia con una delicatezza di tratto nel rapportarti alle persone per cui non si poteva non volerti bene. Senza sentirti mai giudicare alcuno con cattiveria, ma sempre disponibile al confronto e al dialogo con tutti. Una cosa che non conoscevi era la paura di esporti: di dire chi eri, come la pensavi. Mai ideologicamente, ma come esperienza umana e di fede che proponevi a tutti, come fosse la cosa più normale che un cristiano debba fare. Chi ti incontrava si rendeva conto da subito chi aveva di fronte. E che il cristianesimo era una cosa bella, non un’idea, ma la possibilità di una vita nuova. Il tutto condito da un senso dell’ironia che traspariva, anche quando non lo volevi dare a vedere.

Ricordo la tua battaglia di alcuni anni fa, contro una malattia che ti aveva paurosamente debilitato. Circostanza in cui si è colto che Stefano era un uomo di fede e che si affidava alla volontà di un Altro. E hai vinto quella battaglia, spendendoti per quanto le condizioni di salute ti permettevano. Non ti sei mai tirato indietro, sempre propositivo e in prima linea. Vogliamo ricordare la tua appartenenza grata e lieta all’esperienza di Comunione e liberazione. E questo in profonda unità con la Chiesa locale, testimoniata anche dal prolungato contributo offerto al settimanale diocesano, il Corriere Cesenate. E la dedizione che ha contraddistinto il tuo impegno di insegnante di religione.

La conferma del bene e della stima di chi ti ha frequentato o anche semplicemente conosciuto, si è avuta nel momento della veglia fatta in tuo ricordo: una cattedrale strapiena come per le feste grandi, con presenti gli amici della prima ora e quelli dell’ultima nel volto commosso dei tuoi ragazzi di scuola. E tanta altra gente. E tutti a far corona a tua madre e ai tuoi famigliari.

Grazie Stefano di esserti lasciato fare dalla grazia del Signore. Siamo certi che dal cielo sarai al nostro fianco. Ci mancherai, ma non sarai lontano.

Franco Casadei

* * *

Caro Stefano,
ci siamo conosciuti al nostro primo campo scuola, quando il caso o il Destino ci pose nella stessa stanza, adolescenti simili per timidezza e impaccio. Era una casa più che un albergo, con poche stelle e senza bagni in camera. Negli anni, quando ci incontravamo, eri solito dirmi, dopo una pacca sulla spalla: “Domingo, di quel campo siamo rimasti solo noi due, teniamo botta, continuiamo questa esperienza così affascinante”.

Le vicende della vita e del nostro lavoro ci hanno, negli anni, fisicamente allontanati o riavvicinati, ma incontrarci era una festa, conclusa sempre con un abbraccio robusto dei tuoi, che per qualcuno poteva anche risultare simpaticamente imbarazzante. Non dimentichiamo, io e la mia famiglia, il tuo sostegno, l’aiuto concreto e, ne sono certo, la preghiera, in un momento particolarmente difficile. Ora spero che nella Casa ci sia un posto libero nella stessa stanza, anche senza bagno.

Giancarlo Domenichini

Pubblicato giovedì 22 Gennaio 2015 alle 00:01

Trattandosi di un vecchio articolo non è più possibile commentare.

Brevi quotidiane

Ultimi articoli

Ultimi interventi

Parole di Vita

Archivio Documenti