Beni culturali mobili, c’è l’inventario informatizzato

Un’impresa voluta dalla Cei. Avviato nel 1996 e concluso nel 2014, consta di 13.185 schede e 13.361 immagini, per una spesa totale di 278mila euro

Anche la diocesi di Cesena-Sarsina è pervenuta al completamento dell’inventario informatizzato dei propri beni culturali mobili. Il progetto, avviato dalla Cei 18 anni fa, ha visto la partecipazione di quasi tutte le diocesi. Il risultato è impressionante: quasi quattro milioni i beni inventariati fino a oggi.

Il Magistero non ha mai cessato di richiamare l’importanza della tutela dei beni culturali d’interesse religioso. L’Ufficio diocesano che ha condotto l’impresa (in primis l’allora direttore Pietro Turci e la segretaria Monica Zignani, artefice materiale della digitalizzazione; senza tacere schedatori e fotografi) non si era nascosto la natura ardua dell’impresa; ma la felice opportunità e il perseguimento agognato della conoscenza finalmente sistematica e circolare di un patrimonio storico, artistico e culturale generato dalla fede e destinato alla sua alimentazione fungevano da convincente sprone.

E questo è, in cifre, il bilancio dell’impresa: avviato nel 1996 e concluso nel 2014, l’inventario informatizzato dei beni culturali mobili della diocesi di Cesena-Sarsina consta di 13.185 schede e 13.361 immagini, per una spesa totale di 278.000 (160.000 provenienti dalla Cei, fondo 8xmille; 118.000 a carico della diocesi). Ecco un’eloquente spigolatura nel gran campo degli oggetti: 595 dipinti, 165 affreschi, 220 crocifissi, 294 croci, 390 calici, 202 pissidi, 160 ostensori, 1.684 paramenti (piviali, pianete, stole), 573 reliquiari, 2.142 candelieri, 186 tabernacoli, 756 via crucis, 367 campane, ecc. Se le cifre della catalogazione risultano di per sé eloquenti, esse sottendono altresì la laboriosa durata della campagna: la cui lunga e complessa realizzazione si è dovuta impattare anche con la natura territoriale di buona parte della superficie diocesana (collinare e montagnosa, con numerosi e sparsi oratori, con chiese non più officiate o dismesse causa spopolamento e rarefazione abitativa) e con riflessioni teoriche e constatazioni pratiche dettate via via dalle singole fasi operative e dal conseguente esito esperienziale.

È dunque comprensibile la soddisfazione per aver portato a termine un’operazione avveduta e necessaria, da molti anni invocata (giustamente) e perseguita (tenacemente), realizzata con fatica, ma con frutto. D’ora in poi la fruizione matura e consapevole di una inconsapevole ricchezza non è più una chimera; soprattutto, alla faretra pastorale si aggiunge una freccia antica per finalità ma nuova per autocoscienza: specie in una stagione che fa della bellezza – sull’onda di felici, profonde e radicate intuizioni del Magistero recente – uno strumento privilegiato d’inculturazione della fede e di risposte a drammatici quesiti esistenziali. Si tratta di un patrimonio diffuso e in gran parte minore, ordinario nella tipologia, ma perseguito e allestito nel corso dei secoli con straordinaria generosità e fantasia, frutto volitivo e consapevole di una radicata fede popolare cui non era affatto ignoto il valore reale e simbolico del gesto e dell’arredo liturgico (quest’ultimo voluto e perseguito con tanta generosità e con non minor sacrificio, non di rado legato e connesso a ricorrenze, memorie, affetti e circostanze particolari).

A conclusione di un’impresa peraltro già prevista e richiesta dal CIC, can. 1283, 2, non possono essere taciuti: a) l’elevato grado di novità di quanto laboriosamente acquisito, anche se la forma censitaria appartiene da sempre alla tradizione ecclesiastica; b) il patrimonio di conoscenza surclassa di gran lunga il valore patrimoniale dei beni schedati; c) l’acquisizione esperienziale a valere per il futuro e per la prosecuzione eventuale, in considerazione del carattere permanente e ‘aperto’ del censimento, con effetti di aggiornamento; d) l’acquisizione di una consapevole responsabilità, sia parrocchiale che diocesana; e) le finalità pastorali e culturali del lavoro svolto.

Ultimo frutto sinergico, Ministero dei Beni culturali, Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale e Cei sono pervenuti alla stesura di Linee guida per la tutela dei Beni culturali ecclesiastici: esse nascono da forte intesa, esperienza e collaborzione, per fornire le misure più adeguate a garantire conservazione e protezione dello sterminato deposito di oggetti e arredi. Una significativa testimonianza dell’intenso rapporto in materia fra Stato e Chiesa.

Marino Mengozzi

Pubblicato giovedì 22 Gennaio 2015 alle 00:01

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