Leggere la Bibbia con i fratelli ebrei

Una storia antica drammaticamente interrotta dopo l’8 settembre 1944. Allo studio delle lingue
antiche segue lo studio dei “commentari” che hanno interpretato e attualizzato la sorgente
eterna della Parola: i padri delle Chiese d’Oriente e d’Occidente

Nella Basilica di San Pietro a Roma, durante le sessioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, sono approdati i frutti, spesso maturati in mezzo a difficoltà e resistenze, del pluridecennale lavoro messo in cantiere dal Movimento biblico e liturgico. Da San Pietro è scaturita per tutta la cristianità la riscoperta della Bibbia, la Parola di Dio, rivelata all’antico e al nuovo Israele.

Per rendersi conto de visu, torno a suggerire uno sguardo non frettoloso agli scaffali collocati nell’ultima sala della libreria San Giovanni (Cesena, piazza Isei). La Bibbia è tornata nelle case, nei seminari, nelle scuole di teologia.

Dalla fine degli anni Settanta a Valleripa (valle del Borello) la Piccola Famiglia della Resurrezione si è posta “sul monte” come testimonianza viva di questa riscoperta, fonte irrinunciabile per vivere la vita buona del Vangelo. A tale proposito si deve sottolineare lo studio accurato e costante per ricondurre l’ascolto della Parola alle lingue originali: l’ebraico e il greco.

Monaci e monache della comunità hanno frequentato (e frequentano) esigenti scuole bibliche di Gerusalemme, organizzando poi anche a Cesena corsi di ebraico e greco biblico, ospiti del Seminario diocesano. Allo studio delle lingue antiche si accompagna, necessariamente, lo studio dei “commentari” che hanno interpretato e attualizzato la sorgente eterna della Parola: i padri delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Si aggiunge lo studio dei “commentari” della tradizione ebraica, nella tensione gioiosa e necessaria di risalire alla fede dei Patriarchi d’Israele, parte costitutiva del nostro essere cristiani. Un contributo al necessario recupero che consente all’Europa di disintossicarsi dal demoniaco antisemitismo che l’ha pervasa, vissuto e dichiarato ben prima, risalendo all’indietro, nei secoli, fino all’inferno della Shoah.

Sulla scia del documento conciliare “Nostra aetate”, approfondita successivamente dal magistero di papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e così alimentare il doveroso dialogo ebraico-cristiano, le edizioni Dehoniane di Bologna hanno messo in catalogo una collana intitolata appunto “Cristiani ed Ebrei”. Ne fanno parte i due volumi scritti dal rabbino capo della comunità ebraica di Milano Giuseppe Laras che delineano la storia del pensiero ebraico dalle origini all’età moderna, dall’Illuminismo all’età contemporanea. La prefazione è stata dettata dal cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, in stretta amicizia con l’autore. Questa amicizia fu suggellata da un gesto significativo. Il rabbino Laras desiderò che nella sepoltura del cardinale, nel Duomo di Milano, fosse posta una manciata di polvere della Terra di Israele, quasi a vegliare sulle spoglie dell’amico che tanto aveva desiderato essere sepolto a Gerusalemme.

Un’opera per gli addetti ai lavori? Certamente, ma la cui “presenza” tuttavia deve essere testimonianza di un dialogo che, sulla scorta di San Paolo ai Romani, deve accompagnarci fino agli ultimi giorni della storia. Una annotazione che ci riguarda: nel capitolo dove si dà conto dei commenti alla Torah’, dopo l’espulsione degli Ebrei dalla Spagna e dal Portogallo, si scrive di Ovadyah Sforno, un rabbino e medico tra i più rinomati intellettuali italiani di età rinascimentale, nato a Cesena verso il 1470. Si era oltre la stupenda stagione della signoria dei Malatesti. Dopo un approfondito studio della Torah’ alla scuola del padre Ya’Aqov, si trasferì a Roma, dove studiò e praticò l’arte medica, stimato anche nell’ambito della corte pontificia.

Recentemente edita dalla Piccola Famiglia della Resurrezione (via Valleripa 1530, 47025 Linaro, Forlì), a cura di Rosa Maria Ravaglia, Lucia monaca della comunità, è stato pubblicato in traduzione italiana il “Commento alla Genesi” del Rabbi ’Ovadyah Sforno. La presentazione è del rabbino Giuseppe Laras che la data marzo 2007, Adar/5767. L’abate Orfeo Suzzi richiama nella prefazione le motivazioni e l’attualità dell’impresa editoriale (Editrice Stilgraf, Cesena 2008). Un ampio saggio introduttivo ricostruisce storiograficamente le presenza degli Ebrei a Cesena e nello Stato Pontificio nel XV secolo, peraltro già documentata da M. G. Muzzarelli e C. Riva. Sono inoltre illustrate le vicende biografiche e familiari dello Sforno. Ampi paragrafi sono dedicati alla presentazione delle sue opere, con opportuni richiami allo stile e alle linee fondamentali che caratterizzano la sua esegesi e alla illustrazione del suo pensiero teologico. Sembra, quasi, di entrare in sinagoga in giorno di sabato.

Fra non molti giorni, sabato 17 gennaio (l’indomani inizia la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani) è promossa la XXVI Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Le suddette note di recensione possono essere un utile invito a vivere con fede e nella fede dei Padri questo appuntamento.

A Cesena, nei tempi degli Sforno, viveva una comunità ebraica; non pochi dei suoi componenti dovettero condurre una vita culturale e professionale di alto livello. Nel 1459 a un medico ebreo, Angiolo De Rossi, fu concesso da papa Pio II il permesso di praticare la medicina. Un altro – Manuele di Salomone, che nel 1460 era stato nominato medico del Duca di Milano – ottenne analogo permesso da Sisto V, nel 1474. Nel 1487 in città la comunità ebraica disponeva di una sinagoga “nel più bel punto della città, in una posizione centralissima” davanti al Palazzo dei Conservatori, oggi detto Palazzo del Ridotto. A partire dal 20 aprile 1504, rientrato in città (dopo la signoria del Valentino) il governatore pontificio Giovanni Sacchi, le notizie si diradano. Non più un rapporto, seppure spesso travagliato, con la “comunità dei gentili”; un rapporto, tuttavia, che non era stato vissuto percependosi discendenti del patriarca Abramo.

Nei plutei della Biblioteca Malatestiana, a testimonianza rimangono alcuni codici. Tra questi, nell’ultimo pluteo di sinistra, una Bibbia che risale a quei lontani giorni. Mi sia consentito ricordare con quanta attenzione e commozione la prese in mano, girandone lentamente i fogli, il cardinale Martini, venuto a Cesena per una conferenza che illustrava il patrimonio biblico della Vaticana! A questo punto, è doveroso annotare come, significativamente, fu sulla parete esterna di questo edificio, costruito nei pressi dell’antica sinagoga, che il 25 aprile 1995 fu collocata la lapide che ricorda i nostri concittadini che ancora erano rimasti a Cesena nel tragico tempo successivo all’8 settembre; pur emarginati dalle leggi razziali del 1938, nonostante episodi di solidarietà finalmente messa in moto da alcune comunità cristiane della diocesi, erano stati catturati e deportati, senza ritorno.

Un “dialogo ebraico-cristiano” riportato con autorevolezza nel convegno tenuto a Salerno negli ultimi giorni dello scorso novembre e voluto dalla Cei per recuperare e vivere questa relazione indistruttibile e necessaria. La Chiesa ha bisogno della fede di Israele e Gesù può essere compreso e incontrato solo nella fede ebraica. Sapendo ben discernere l’eredità dei Patriarchi dalle vicende storiche del formarsi dello Stato di Israele (1948), all’indomani della Shoah.

Piero Altieri

Pubblicato giovedì 15 Gennaio 2015 alle 00:02

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