“Generativi di tutto il mondo, unitevi”

La sociologa Chiara Giaccardi all’ultimo incontro del seminario di studi “Maschio e femmina li creò”

Generare per dare speranza, in primo luogo ai giovani. Generare per superare i discorsi sterili. Perché quando si parla di “generare” il discorso va oltre i figli: vale ogni qual volta si esce dal proprio bozzolo per fare qualcosa in relazione con gli altri, senza egoismi. Lunedì scorso l’ultimo appuntamento del Seminario di studio “Maschio e femmina li creò”, promosso da pastorale familiare e pastorale sociale diocesana, ha visto a Cesena la docente di sociologia e antropologia dei media Chiara Giaccardi.

Titolare di una cattedra alla Cattolica di Milano, la Giaccardi fa parte del comitato di preparazione del convegno ecclesiale nazionale in programma il prossimo anno a Firenze.

Il tema della serata è stato lo stesso che dà il titolo al libro scritto dalla docente a quattro mani col marito Mauro Magatti: “Generativi di tutto il mondo, unitevi!”. Un titolo che motteggia l’appello ai proletari del manifesto di Marx ed Engels del 1848, per un libro che è, in effetti, un vero manifesto. Un manifesto di libertà: “Questo testo è il frutto di anni di discussione con amici e colleghi – ha spiegato l’autrice – per cercare di definire la generatività come modo nuovo di definire la libertà. È stato difficile scriverlo in due. Il risultato finale è un insieme che va al di là della somma delle parti”. Già il modo in cui il libro è stato scritto, dunque, getta luce su di un aspetto della generatività.

“Posso raccontare qualche pista che può essere utile al vostro percorso – ha messo in guardia la Giaccardi – ma non esistono delle ricette, solo idee che possono germogliare in terreni diversi”. Un punto fermo però c’è: “L’idea dell’uomo creatore, che basta a se stesso e che non deve chiedere mai, è sterile. Sant’Agostino diceva ’Initium ut esset, creatus est homo’, l’uomo è creato per cominciare, per dare inizio a qualcosa”. Una definizione che ha fatto breccia anche tra i laici, tanto da essere ripresa a metà del secolo scorso da Hannah Arendt.

“La realtà è superiore all’idea, questo è il metodo: partire dall’esperienza. E la storia dice che i momenti di pienezza sono stati i momenti generativi, quando ci si sentiva liberi”. Già, ma liberi come? “Le attuali definizioni di libertà derivano dal campo giuridico: non essere costretti, da un lato, e poter fare ciò che si vuole, dall’altro. Oggi sono diventate un dogma sociale, con annesse storture. Eppure chi non è costretto a scegliere, chi non ha vincoli, non sceglie mai. È in una trappola che, paradossalmente, limita la sua libertà. D’altro canto chi dice di fare ciò che vuole, in realtà fa quello che fanno tutti gli altri. La nostra cultura ha un po’ l’ossessione dell’autonomia. Ma è smentita dai fatti: sono altri che ci mettono al mondo, altri che ci fanno vivere e crescere nei primi anni di vita, e sono gli altri ancora una volta (amici, marito o moglie, figli) che grazie alla relazione ci fanno capire meglio chi siamo”.

La vera libertà, dunque, è legata a doppio filo con la relazione. E la relazione passa, inevitabilmente, attraverso le altre persone. Ma non tutte le relazioni sono buone: “Una relazione è malata quando si vuole che l’altro rinunci alla sua alterità: dovrebbe fare sempre ciò che dico io. Il primo è il lavoro di riconoscimento: c’è dell’altro oltre a te, non tutto ruota attorno a te. I figli, ad esempio, sono una forte alterità. Ci obbligano a uscire da noi stessi, a non rimanere intrappolati nell’autoreferenzialità. Nell’alterità c’è una differenza non assimilabile, che va riconosciuta e rispettata”.

C’è un diritto alla differenza, dunque, da non confondersi con l’equivalenza: “Oggi si parla molto di bellezza della differenza, ma in fondo si fa passare il messaggio che tutte le differenze siano sullo stesso piano, come prodotti del supermercato. Ma non è così, ci sono cose sbagliate, come la pedofilia, e bisogna dirlo. Mentre che un uomo ami un uomo non è magari sbagliato, ma non si può dire che è uguale a che un uomo ami una donna. In un caso si può generare, nell’altro no: c’è una differenza. Non dico sia giusto o cattivo, dico solo che non sono uguali, sono inequivalenti”.

Mentre la relazione generativa è sempre positiva: “Molti adulti oggi sono lattanti psichici, prendono senza dare. In questo modo ristagnano. Chi invece fa qualcosa per gli altri, non per senso del dovere ma perché è bello, allora genera”. Bisogna avere il coraggio di lasciare il testimone a chi ci segue: “Credo che la generatività non educhi solo alla propria libertà, ma inneschi anche un processo di partecipazione in una chiave nuova. Mette le persone in condizioni di agire, le ’abilita’ affinché riescano a dare il meglio di sé in modo gratuito”.

Michelangelo Bucci

Pubblicato giovedì 20 Novembre 2014 alle 00:03

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