Commento al Vangelo – Cristo Re – Anno A

Meglio l’Amore piuttosto che i “punti-Paradiso”

Domenica 23 novembre – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno A
Ez 34,11-12.15-17; Salmo 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

Non so perché, ma il tema del giudizio finale, su cui convergono le letture di questa ultima domenica del Tempo Ordinario passate in compagnia del pubblicano Matteo, d’istinto, mi proietta all’immagine terribile raffigurata da Michelangelo nella Cappella Sistina. E così la mente viene popolata da arcane paure: la paura di un Dio “giudice” che una certa tradizione catechistica ci ha tramandato o, peggio ancora, l’idea di un Dio “giustiziere”, pronto a spedire le anime dei peccatori nel fuoco eterno.

Siccome non voglio essere autolesionista, prendo le distanze da Michelangelo, sforzandomi di liberare la mente e il cuore dall’idea di un Dio che ama tener soggiogate le persone facendo cinicamente leva sulle loro paure. Anche perché non credo che gli uomini siano stimolati a fare il bene e a evitare il male, solo perché su di loro incombe quella tremenda spada di Damocle chiamata “giudizio”. Così come non credo che le preghiere, i rosari, le Messe, le novene e le buone azioni – stando alla concretezza di questa pagina di Vangelo – siano una sorta di scudo per attutire l’ira di Dio. Il “block notes” sul quale abbiamo appuntato le nostre opere – nel caso Dio sia colto da un improvviso attacco di amnesia – non servirà.

Con questo non intendo demolire la buona prassi della preghiera, dei sacramenti e della morale, ma leggerli sotto la lente d’ingrandimento che è la carità. Che uso abbiamo fatto dei talenti ricevuti? Li abbiamo trafficati, investiti o li abbiamo sotterrati nella prigione delle nostre paure inconfessate? E allora, cari amici, sforziamoci di non forzare le porte dell’aldilà con anticipazioni o rivelazioni che lasciano il tempo che trovano, ma impegniamoci a vivere con impegno l’aldiqua, nel difficile impegno di riconoscere il volto di Gesù in quello degli emarginati, degli esclusi. Quelli che comunemente chiamiamo “scarti della società”.

Saranno le omissioni di bene, le carezze non date, i sorrisi non scambiati a scrivere le pagine della nostra salvezza, e non i “punti-Paradiso” accumulati a suon di novene o di pie devozioni. Non preoccupiamoci di soddisfare la nostra curiosità sulle realtà ultime, andando a caccia di discutibili anticipazioni, ma cerchiamo di pregustare l’aldilà in quei gesti di carità con cui possiamo colorare la nostra esistenza terrena.

Alessandro Forte

Pubblicato giovedì 20 Novembre 2014 alle 00:00

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