Commento al Vangelo – Commemorazione fedeli defunti – Anno A

Non siamo stati creati per la morte, ma per la vita

Domenica 2 novembre –  Commemorazione dei fedeli defunti – Anno A
Gb 19,1.23-27a; Salmo 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

Non so perché, ma questa ricorrenza l’ho sempre associata a due immagini in contrasto tra loro: le lapidi e i fiori. Le lapidi, infatti, sono pietre morte che racchiudono un cadavere: un impietoso sigillo che decreta la parola “fine”. I fiori, invece, sono piante colorate, che rappresentano, in un certo senso, la vittoria della natura sulle cose morte: quel grido di speranza mai sopito nel nostro cuore. Credo che il pensiero della morte o l’esperienza diretta della stessa, incroci, inevitabilmente, una lapide e un fiore, il pensiero duro della fine e il pensiero dolce e consolante dell’eternità, che pare aggrapparsi disperatamente, e allo stesso tempo tenacemente, dietro la fragilità di un fiore.

Questo strano connubio mi dà molta pace, altrimenti non saprei spiegarmi come si possano accostare due cose così antitetiche fra loro. E allora penso che non siamo stati creati per la morte, ma per la vita; e che questa ricorrenza annuale non rappresenti semplicemente l’occasione propizia per pregare per coloro che ci hanno lasciato o per depositare un fiore sulle loro tombe nel tentativo disperato di non consegnare il loro ricordo all’oblio del tempo, ma un’opportunità imperdibile per riflettere sul significato della vita a partire dalla morte.

E allora come possiamo mettere fiori sulle lapidi, se tutto finisce con la morte? Forse il punto è proprio questo: la morte, per noi credenti, rimane pur sempre un fatto estraneo rispetto alla nostra sete di eternità, ma non un muro contro il quale andiamo a sbattere; un muro che frantuma in mille pezzi i nostri progetti, i nostri legami, che vanifica le nostre speranze e le nostre attese. Mi piace invece pensare alla morte come a un ponte sospeso fra la vita presente, destinata a sfiorire, e quella futura, destinata a germogliare nel terreno fertile dell’eternità dopo i rigori dell’inverno. Un ponte che tutti – prima o poi – dobbiamo attraversare per raggiungere l’altra sponda: l’abbraccio senza fine del Padre. Perché, se così non fosse, che senso avrebbe spendere tante energie e tanti sforzi per vedere i nostri affetti infrangersi contro una lapide, timidamente ravvivata dal colore di un fiore, destinato pur tuttavia a morire?

Alessandro Forte

Pubblicato giovedì 30 Ottobre 2014 alle 00:00

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