Il lavoro che non c’è e la questione articolo 18

Viviamo in un mondo globalizzato. Con quello ci dobbiamo confrontare.

Caro direttore,
a proposito dell’ art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, dirò subito che sono contrario all’abolizione. Non per questioni ideologiche, ma per vita vissuta in fabbrica. Sono felicemente pensionato metalmeccanico dal 1997 e non ho nessun buon ricordo e nostalgia della “fabbrica” nella quale ho trascorso 21 anni della mia esistenza e vita lavorativa. Molto probabilmente, Renzi non ha idea di come sia “il mondo” all’interno della fabbrica.

Detto semplicemente e brutalmente, sei un numero e non una persona, dove nessuno è indispensabile. Anzi, quando c’è una crisi così drammatica come questa tutto peggiora nel mondo del lavoro. La fabbrica, piccola o grande che sia, è il luogo dell’annullamento della persona e, a volte, anche della dignità umana. È un luogo dove quello che conta è la tua capacità produttiva. Non ci sarebbe posto per i disabili se non ci fosse una legge per il collocamento obbligatorio.

L’Italia, anche nel mondo del lavoro, è piena di diseguaglianze sociali ed economiche che costringono i più deboli ad accettare qualsiasi forma di lavoro, pur di portare a casa la “pagnotta”. Non credo sia più veritiero il detto evangelico “ti guadagnerai il pane col sudore della fronte”. In questo Paese quello che ha più “valore” è “la mente”, e non anche il “braccio”. Il “padrone” si sente tale anche nei confronti della tua persona perché, senza di lui, saresti probabilmente “un morto di fame” e un disoccupato a vita.

L’Italia di imprenditori illuminati come Adriano Olivetti credo ne abbia avuto molto pochi. È stato l’unico a concepire il lavoro come massima realizzazione ed espressione della persona. In altri Paesi, come la grande Germania, i lavoratori siedono nei consigli di amministrazione avendo a cuore il bene comune di azienda, lavoratore e Stato. Ricordo quando in un’assemblea sindacale di tanti anni fa lo proposi. Sia il sindacato sia il padrone non ne volevano sapere di diventare alleati, anziché eternamente in conflitto.

Quello che l’articolo 18 non deve fare è proteggere i vagabondi e i ladri, ma questa è materia anche dei tribunali del lavoro. Anche il Cristianesimo prima e la Chiesa molto dopo si sono schierate a fianco di chi lavora onestamente, maledicendo chi sfrutta non elargendo la “giusta mercè” e con due encicliche dedicate al mondo del lavoro.

Per mia personale esperienza, anche se un po’ datata, sono del parere di mantenere l’articolo 18 estendendolo anche a quelle categorie di lavoratori che non ce l’hanno. Come la Costituzione è l’unica tutela per il cittadino, così è l’art. 18 per il lavoratore onesto. Aggiungo anche che sindacati hanno le loro responsabilità per le diseguaglianze sociali ed economiche che si sono venute a creare nel mondo del lavoro.

Grazie per l’ospitalità.
Cordiali saluti.

Marino Savoia
Cesena

“In questo sistema, senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatro” di questo dio-denaro: lo disse il 22 settembre dello scorso anno a Cagliari papa Francesco (cfr. pag. 9 le parole del cardinale Bagnasco all’apertura dei lavori del consiglio permanente della Cei). E poi ribadì: “Lavoro, lavoro, lavoro”, perché senza lavoro l’uomo non ha dignità.

Su questo punto non ha dubbi, carissimo Savoia, la Dottrina sociale della Chiesa che a questo tema ha dedicato numerose encicliche, dalla Rerum novarum di papa Leone XIII (1891) fino alla Caritas in veritate di papa Benedetto XVI. Quindi, la vera questione di questi anni complicatissimi è la creazione di nuovi posti di lavoro.

Noto un’Europa troppo ferma e l’Italia ancor di più. Se restiamo al palo, vedremo sempre più delocalizzate le nostre imprese. Non è più tempo di alzare muri e barriere. Il mondo è un unico grande mercato globalizzato. Con questo ci dobbiamo confrontare. Spesso neppure a me piace. Ma è in questo contesto che dobbiamo sempre avere a cuore il bene della persona, sempre e comunque. Non è per nulla facile, ma a noi è dato questo tempo da vivere.

Cerchiamo di mettere il nostro mattoncino per la costruzione di un mondo migliore. Ciascuno di noi può lasciare un segno nella storia. Ecco perché c’è ancora speranza. Ce lo ha ricordato nella Spe salvi (n. 35) papa Ratzinger.

Seguiamo il suo consiglio.
Cordialmente.

Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

 

Pubblicato giovedì 25 Settembre 2014 alle 00:01

Una risposta a “Il lavoro che non c’è e la questione articolo 18”

Commenti

  1. Roberto Mezzadonna 01 Ott 2014 / 09:39

    Penso che L’articolo 18 deve rimanere; per la difesa dei lavoratori esperienze fatte nella Fabbrica ho costatato che se non ci fosse L’articolo 18 L’operaio sarebbe molto Sfruttato Grazie Dell’attenzione Roberto

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