Commento al Vangelo – 22ª domenica Tempo Ordinario – Anno A

Lo scandalo del Cristianesimo: la croce

Domenica 31 agosto – 22ª domenica Tempo Ordinario – Anno A
Ger 20,7-9 ; Salmo 62 ; Rm 12,1-2 ; Mt 16,21-27

Povero Pietro! Neanche il tempo di gioire della beatitudine espressa dal Maestro nei suoi riguardi, neanche il tempo di gustare l’ebbrezza di custodire la fede e i fratelli, che già incappa in una colossale gaffe: insegnare a Dio il suo mestiere. Tendenza molto diffusa tra noi umani: covare la segreta presunzione di saperne più di Dio, credere di essere capaci di governare la barca meglio di Lui, di raddrizzare le sorti di questo mondo alla deriva meglio di Lui. Insomma, insegnare a Dio come fare per creare un mondo meno ingiusto.

Com’è breve il passo che separa dalla beatitudine alla perdizione! Che brusca inversione! Pietro ha appena riconosciuto nel falegname di Nazareth il Messia tanto atteso e Gesù lo stabilisce quale pietra viva a cui affidare le chiavi del Regno. Ora, invece, diventa, secondo la legge del contrappasso, pietra d’inciampo, cioè di scandalo. Verrebbe da dire: né santi, né diavoli, semplicemente uomini che oscillano fra ispirazioni divine e sentimenti che non salgono oltre il proprio orizzonte. Il Vangelo, sotto questo punto di vista, non ammette vie di mezzo, compromessi, zone franche: le nostre parole, i nostri pensieri, i nostri desideri, quando non sono secondo Dio, ci allontanano da Lui.

Con questo brano, dai toni fortemente contrastanti, l’evangelista Matteo ci conduce a una sorta di spartiacque in cui è in gioco non solo la vera identità del Messia, ma anche quella del discepolo. Lo spartiacque è dato dalla croce: il vero “scandalo” del cristianesimo. Accettare Gesù come Messia è ancora ammissibile, ma che il Messia pretenda di salvare il mondo con la sconfitta della croce, questo assolutamente no. Prendere la croce non vuol dire accettare con rassegnazione la sofferenza spinti da un malsano dolorismo, ma spingere l’amore fino alle estreme conseguenze.

Che cos’è la croce di Cristo se non il patire di un Dio appassionato, la sconcertante verità che Dio ama l’uomo più della sua stessa vita? Letta in questi termini, la croce assume una luce tutta nuova e ci ricorda con disarmante semplicità che chi vive solo per sé muore; che il vero dramma, paradossalmente, non è perdere la vita, ma non avere nulla per cui valga la pena perderla.

Alessandro Forte

Pubblicato giovedì 28 Agosto 2014 alle 00:00

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