“Giovani africani fra noi, un’occasione persa”

Il parroco di Alfero, don Edero Onofri, commenta la vicenda degli immigrati ospitati in paese

Immigrati ad Alfero, tema scottante e delicato. Provenienti da Lampedusa, nella frazione di Verghereto che conta circa 700 abitanti, sono attualmente presenti 26 giovani, tutti uomini, provenienti per lo più dal Mali, dal Senegal e dal Gambia, Paesi dell’Africa occidentale.

Il parroco don Edero Onofri, dalle colonne del foglio parrocchiale “La conca dell’Alferello”, ha fatto sentire la sua voce in un accorato intervento pubblicato un paio di settimane fa. Negli ultimi mesi, “la vita del nostro paese, normalmente tranquilla – scrive il sacerdote che abbiamo incontrato nel suo ufficio, in canonica – è rimasta turbata, sconvolta. Un folto gruppo di giovani africani è venuto ad abitare tra noi. Sono fuggiti a rischio della loro vita da situazioni disperate di miseria e guerra. Hanno affrontato mille pericoli e drammi di estrema sofferenza. Si sono salvati dal mare tempestoso e sono stati avviati ad Alfero”.

Il parroco ricorda ancora il momento dell’arrivo: in piena notte, un pullman scortato dai carabinieri, con assistenti sociali dotati di mascherine sul volto. La reazione della gente è stata di inevitabile sospetto e di comprensibile timore. “Tenersi alla larga da quella gente, portatrice di paurose malattie e che avrebbe invaso i nostri parchi pubblici”. Inoltre, la campagna elettorale in pieno svolgimento in quelle settimane ha accentuato i toni dei proclami e delle critiche circa l’accoglienza a persone che sarebbero rimaste senza fare nulla in attesa di essere riconosciute come rifugiati.

“Eppure – riconosce don Edero – per noi alferesi è stata un’occasione mancata. Invece di accoglierli, abbiamo insinuato contro di loro le cose peggiori: delinquenza, vagabondaggio, malattie. Bisognava salvaguardare i ragazzi e i bambini”, non facendo loro più frequentare i posti pubblici e i pullman. “Abbiamo perso l’occasione di conoscerli veramente, di informarci sui loro Paesi d’origine, sui motivi della loro fuga, sulle loro famiglie e le loro tribù. Sui pericoli e i drammi vissuti nella loro fuga attraverso il deserto. Di quanto hanno rischiato nell’affrontare, su misere carrette del mare, la lunga traversata fino alla nostra terra, sfruttati e ingannati chissà quante volte”.

Don Edero è stato a pranzo con loro nel giorno di Pasqua. Poi aveva pensato di estendere quel gesto di solidarietà ai parrocchiani, ma non ha dato corso al suo intento. Ora però riconosce che si poteva fare di più, visto anche che “non è successo assolutamente nulla”. Invece, “abbiamo scelto di bloccarci in noi stessi – si legge ancora sul bollettino parrocchiale che esce ogni quattro mesi – e nella nostra piccola realtà. Ma tanti altri verranno a insidiare la nostra vita tranquilla. Un mare di popoli in movimento continuo ci pressa, sospinto dalle loro estreme esigenze. Alfero non può continuare ad essere un’isola felice”.

Poi, un’ultima amara considerazione: “Dovremo aprirci alle situazioni del mondo intero, se non vogliamo morire di inedia e di meschinità”. Un richiamo che vale per tutti, non solo per gli abitanti di Alfero.

Pubblicato giovedì 17 Luglio 2014 alle 00:01

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