Commento al Vangelo – Pasqua di Resurrezione – Anno A

La fede non è un anestetico contro i mali della vita

Domenica 20 aprile – Anno A Pasqua, Risurrezione del Signore
At 10,34a.37-43 ; Salmo 117; Col 3,1-4 ; Gv 20,1-9

La fede nella risurrezione è un cammino difficile, che non può essere liquidato con formule preconfezionate. Il rischio di banalizzare il dolore insistendo con troppa facilità sulla risurrezione non contribuisce ad alleviare le angosce della vita, semmai ad acuirle. La fede non è un anestetico contro i mali della vita; se così fosse, avrebbe ragione Marx definendola “l’oppio dei popoli”. La fede è anzitutto un percorso tortuoso, quello nella risurrezione più degli altri.

La risurrezione, sullo sfondo dell’intera vicenda di Gesù, non serve per decretare una vittoria, fosse anche la vittoria della vita sulla morte. Così come non serve per convincere gli increduli mettendoli in buca a suon di miracoli. La risurrezione è piuttosto il trionfo di un corpo ferito e sofferente; se non ci fosse stata la risurrezione di Gesù, Dio avrebbe conservato la sua imperturbabile distanza dai drammi di un’umanità lacerata dal dolore. Invece no, dalla risurrezione in poi è tutta un’altra cosa, perché in Dio ci sono le ferite, le piaghe, le fatiche, i dubbi di Gesù.

La gloria del Risorto traspare in un corpo che non ha perso il legame primitivo con la terra; quel corpo che ora contempliamo nella gloria è lo stesso corpo che si è chinato per lavare i piedi dei discepoli, per toccare le piaghe della lebbra. Noi non crediamo in un Dio che risorge per dimostrare la sua forza, ma per accogliere e trasfigurare per sempre la nostra debolezza, per abitare le nostre paure, per gettare squarci di luce sulle nostre zone d’ombra e germi di speranza oltre i confini ristretti della nostra fede.

Ecco perché la fede nella risurrezione sconvolge le nostre esistenze; esistenze che oscillano fra la muta rassegnazione di chi non si aspetta più nulla dalla vita e aspetta inesorabile la morte o fra il trionfalismo patetico di chi sa già tutto e considera il dolore un banale incidente di percorso. Se noi separiamo l’evento straordinario della risurrezione dall’intera vicenda di Gesù, facendo leva unicamente sul primo, facciamo di Gesù il più grande “mago” della storia. Al massimo, potremmo provare ammirazione per Lui, o peggio ancora sprofondare nella frustrazione più avvilente. Ma nulla di più. Se invece Cristo è davvero il Dio con noi, allora la risurrezione è l’anticorpo contro la cultura della morte che tenta di insinuarsi più o meno velatamente fra le pieghe della nostra cultura.

Alessandro Forte

Pubblicato giovedì 17 Aprile 2014 alle 00:00

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