La presenza di Dio tra persecuzioni e povertà

La morte del ministro pachistano per la tutela delle minoranze

di Gianfranco Lauretano

Il testamento spirituale di Shahbaz Bhatti, ministro del governo pachistano per la tutela delle minoranze ucciso il 2 marzo scorso per la sua battaglia in difesa dei Cristiani del suo paese, è una luce che illumina il cammino dei Cristiani di tutto il mondo e svela qual è il vero nodo cruciale per ogni comunità e per tutta la Chiesa: la fede.

La sua morte è stata il vero martirio (tutt’altro da quello dei kamikaze islamici che si uccidono massacrando gli altri e usurpando il termine stesso di martire) e per questo, contrariamente alle intenzioni dei suoi assassini, porterà molto frutto di fede e testimonianza.

Il suo impegno era volto al superamento della famigerata legge sulla blasfemia, pretesto troppo spesso per condannare e giustiziare i cristiani. “È la legge sulla blasfemia a essere blasfema” ha affermato padre Lombardi, perché consente di uccidere in nome di Dio.

Il testamento di Bhatti, pubblicato il 3 marzo dal “Corriere della Sera” e ripreso da centinaia di giornali e siti in tutto il mondo rende conto di un uomo con una fede grande e commovente, che da essa traeva l’unica ragione del suo impegno. Leggiamone un brano: “Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero (…). Pensai di corrispondere a quel Suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico”.

E poi, sempre a proposito dei bisognosi: “Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna”. Sono frasi che spazzano via tanti equivoci e tante discussioni che stiamo facendo anche tra noi, all’interno della Chiesa.

Il centro di tutto, infatti, non è aiutare i poveri, in base a una generosità e uno slancio ideale che durano quanto le nostre forze, cioè pochissimo. Il centro di tutto è il Signore, l’amore per Lui e soprattutto, come dice Shahbaz Bhatti, l’accorgersi di essere investiti dal Suo amore, la coscienza della Sua presenza viva e operante qui e adesso, di cui un’umanità nuova, inaudita, splendida, come quella di questo ennesimo martire cristiano, è testimonianza sfolgorante.

Di tutto il resto si può e si deve parlare: del potere, della politica, della morale, della ricchezza e di quanto questo c’entri con la Chiesa, senza però dimenticare mai che il cuore della Chiesa, la sua definizione, il suo senso e il motivo per cui Dio stesso l’ha fondata consiste nell’essere testimonianza di fede, l’alveo in cui personalità del genere vengono educate alla presenza di Dio stesso. Presenza che nel mondo continua a esistere e a risplendere, pur nel dramma della persecuzione e della povertà.

Ciò che fonda la nostra persona è l’essere all’altezza di quel Volto amabile e attuale, in modo da poterci sempre presentare a Lui “senza vergogna” e secondo la nostra dignità infinita.

Pubblicato venerdì 11 Marzo 2011 alle 00:01

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